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lunedì, giugno 01, 2015

Garanzia Giovani un anno dopo, il bilancio dei primi 12 mesi

Il piano europeo per combattere la disoccupazione giovanile e il fenomeno dei Neet non ha ancora prodotto i risultati sperati: il numero delle registrazioni (circa 600 mila) è ancora distante dalla platea potenziale (2,2 milioni), molti ragazzi non hanno ancora sostenuto il primo colloquio e le offerte di lavoro o tirocinio concrete sono ancora poche. Il ministro Poletti si ritiene comunque soddisfatto per i numeri raggiunti, ma le opinioni degli under 30 raccolte attraverso il monitoraggio informale realizzato da Repubblica degli Stagisti e Adapt non sono sulla stessa lunghezza donda

Garanzia Giovani ha compiuto il suo primo compleanno l’1 maggio. A un anno (e qualche settimana) dal suo esordio, quale bilancio si può trarre del programma finanziato dall’Unione europea per combattere la disoccupazione giovanile e il fenomeno dei Neet?

Al 28 maggio 2015, le registrazioni al programma erano 595 mila (517 mila al netto delle cancellazioni e degli annullamenti da parte dei candidati). Si tratta di una cifra ancora distante da quei 2,2 milioni di ragazzi che, stando a quanto riportato dal governo nel piano di attuazione della Youth Guarantee, ricadono nel bacino dei Neet.

Le prese in carico da parte dei servizi per l’impiego sono circa la metà, 322 mila, e 101 mila sono gli under 30 a cui è stata proposta almeno una misura.


Dal report settimanale pubblicato dal Ministero del Lavoro sappiamo anche che i registrati sono per metà uomini (51%) e per metà donne (49%) e che più della metà dei ragazzi iscritti alla Youth Guarantee appartengono alla fascia d’età 19-24 anni.

Quanto alle opportunità di lavoro, i numeri sono molto meno ampi. Dall’inizio del progetto a oggi sono 56 mila, per un totale di circa 80 mila posti disponibili, di cui risultano attive attualmente 8.801 vacancy (12.147 posti a disposizione).

Dati alla mano, non sembrerebbe finora un successo, soprattutto se si guarda alla sproporzione tra il numero dei registrati e le poche effettive chance lavorative proposte nonostante per le aziende siano previsti bonus occupazionali per le nuove assunzioni e incentivi per l’attivazione di tirocini.

Secondo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, un anno dopo l’inizio del programma il bilancio non è negativo. “Ci sono ampi margini di miglioramento ma posso ritenermi soddisfatto degli obiettivi raggiunti: avere 550 mila giovani che si sono registrati (il numero al primo maggio 2015, ndr) è un risultato non banale. E il fatto che dopo dodici mesi continuino a registrarsi 10/15 mila giovani al mese è per me una grande soddisfazione”, ha detto.

Tuttavia, a sentire i diretti protagonisti, i punti di vista sono ben diversi. Gli umori dei circa 3 mila ragazzi tra i 15 e i 29 anni che hanno risposto al monitoraggio informale online realizzato, tra l'ottobre 2014 e il marzo 2015, dalla testata giornalistica Repubblicadeglistagisti.it e il centro studi Adapt, non sempre sono positivi. Anzi.

La metà di questo campione (non statisticamente rilevante ma pur sempre rappresentativo delle esperienze e delle opinioni dei ragazzi in merito alla Garanzia Giovani), quando ha compilato il questionario, non era stata contattata per il colloquio da parte dei centri per l’impiego.

Se la risposta delle istituzioni è lenta rischia di generare una doppia frustrazione in quei ragazzi che hanno visto nel programma un motivo di speranza ma verificano sulla loro pelle che non risponde alle loro aspettative.

Tra quelli che hanno effettuato il primo colloquio conoscitivo, solo uno su quattro (il 24%) è stato richiamato per valutare insieme agli operatori dei servizi per l’impiego le proposte concrete a disposizione.

In più, la maggioranza degli under 30 (il 44%) che hanno sostenuto il primo colloquio afferma di aver ricevuto una proposta generica di lavoro o di uno stage futuro mentre il 39% riferisce di non aver ricevuto nessuna proposta concreta.

Se ci si distacca per un attimo dai dati e si passa ad ascoltare le esperienze, emergono alcuni casi poco incoraggianti. Dal ragazzo che racconta che durante il colloquio si è limitato a “inserire i dati del proprio cv allinterno di un computer” alla giovane che afferma che il personale del centro per l’impiego “non ha voluto ascoltare le mie esperienze o chiedermi il campo in cui avrei voluto fare lo stage”.

In base a quanto emerge dai dati e dalle risposte del monitoraggio informale, finora il progetto non ha ancora avuto un coordinamento allaltezza degli obiettivi iniziali. Ogni regione decide autonomamente se affidare le prime fasi del piano a strutture pubbliche o ad agenzie per il lavoro.

Chi è riuscito a ottenere una proposta concreta si è trovato spesso davanti a offerte di stage, con rimborsi di 400 euro mensili, che in alcuni casi non sono stati ancora erogati dall’INPS (l’ente che ha il compito di erogarli) anche dopo la fine del periodo di tirocinio. E, come ha messo in evidenza il programma tv Piazza Pulita, capita di frequente che i ragazzi presi per effettuare stage finiscano a fare mansioni lavorative normali.

Se poi si prende come punto di riferimento la galassia dei Neet, la categoria per cui è stato ideato il piano, allora lesito è ancora meno confortante perché, secondo il monitoraggio Rds-Adapt, solo il 17% di loro si è iscritto al programma.

lunedì, marzo 02, 2015

Synergie Italia apre una nuova sede ad Aosta: ecco i profili più richiesti



Dopo quella di Verrès, ecco una nuova apertura nel capoluogo valdostano. La scelta è dettata dalla necessità di servire in modo tempestivo una città, e un territorio, in cui si concentra un terzo della popolazione della Regione autonoma. Tra le figure di cui le aziende vanno in cerca ci sono promoter, operai in ambito siderurgico, commesse e autisti.

Synergie Italia continua ad aprire nuove filiali in Italia. L’ultima arrivata è ad Aosta, la prima in città e la seconda in Valle d’Aosta, dopo quella di Verrès, aperta nel 2013. La scelta di inaugurare una sede nel capoluogo della Regione autonoma risponde a diverse necessità. A cominciare da quella puramente geografica e demografica.

«La Valle d'Aosta è molto estesa: se con l'apertura a Verrès coprivamo bene la media-bassa valle, da Pont-Saint-Martin a Chatillon, ci mancava un presidio più vicino alla zona di Aosta, dove tra l'altro risiede un terzo degli abitanti della Valle», spiega Gabriele Francisca, district manager di Synergie Italia responsabile per l’area Canavese e Valle d'Aosta.

«Molti clienti ci chiedevano di essere presenti qui per presidiare il territorio e rispondere alle loro esigenze in modo più tempestivo. Alcune importanti imprese di questa zona ci hanno detto: se sarete qui, noi siamo pronti a offrire nuove opportunità di lavoro. Ed eccoci».

Anche se la filiale aostana è attiva da pochi giorni, il team può già indicare i profili professionali che sono - o saranno a breve - richiesti dalle aziende del luogo per esperienze di lavoro in somministrazione: promoter di prodotti enogastronomici, operai in ambito siderurgico, commesse e commessi per negozi, autisti.

A ben vedere sono attività professionali legate a doppio filo con i settori produttivi in cui si osserva maggiore dinamismo. «Il turismo, per esempio, continua a essere un comparto in fermento», aggiunge Francisca. «Poi ci sono alcune eccellenze industriali, in particolare nel settore siderurgico,  e ci sono tante realtà nei servizi che hanno un peso importante».

Nonostante i pochi giorni di vita, i primi riscontri arrivati da parte di aziende, candidati e istituzioni sono stati positivi. «Abbiamo ricevuto una buona accoglienza. Un aspetto su cui contiamo di ricevere molta attenzione è la Garanzia giovani. Ci stiamo preparando per il periodo in cui il piano sarà gestito a livello nazionale. Questa fase partirà in primavera e noi saremo tra le poche agenzie accreditate».

venerdì, gennaio 16, 2015

Disoccupazione giovanile al 43,9%, mai così alta. Più di un giovane su dieci è senza lavoro



Gli ultimi dati provvisori Istat restituiscono un quadro sempre più allarmante per quanto riguarda la situazione dell’occupazione in Italia. A novembre 2014, il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è arrivato al 43,9%, il livello più elevato da quando esistono le serie storiche (1997). Il tasso di disoccupazione generale ha raggiunto il 13,4%: i senza lavoro sono 3 milioni e 457 mila. Cala il numero di occupati (22 milioni e 310 mila, - 48 mila rispetto al mese precedente) e il tasso di occupazione, pari al 55,5%.
Sale, sale, sale. E sembra che non ci sia nulla in grado di fermarlo. Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è aumentato ancora. A novembre 2014 ha raggiunto il 43,9%, 0,6 punti percentuali in più rispetto al mese precedente e 2,4 punti in più rispetto al novembre 2013.  A rilevarlo è l’Istat nelle stime provvisorie. Si tratta della percentuale di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni più alta dall’inizio delle serie storiche, cioè dal 1977, e da quello delle serie mensili (2004).
È un contesto in cui anche la disoccupazione generale fa registrare dati allarmanti. Il numero di disoccupati è pari a 3 milioni e 457 mila, l'1,2% rispetto al mese precedente (40 mila unità in più) e l’8,3% in più rispetto al novembre 2013 (264 mila in più). Il tasso di disoccupazione è pari al 13,4% (+0,2% rispetto a ottobre e +0,9% su base annua).

In questo quadro, gli under 25 che non riescono a trovare lavoro sono 729 mila, con un’incidenza del 12,2% rispetto alla loro fascia d’età, in lieve aumento rispetto al mese precedente (+0,3%) e in crescita di 1,1 punti percentuali sui dodici mesi.

Un giovane su dieci è disoccupato, quindi. Come precisa l’Istat, il tasso di disoccupazione giovanile è calcolato come la quota di giovani senza lavoro sul totale di chi lavora o è in cerca (gli attivi). Non è corretto pertanto dire, come spesso accade, che due under 25 su cinque sono disoccupati.
Il numero di giovani inattivi è pari a 4 milioni 304 mila, in calo dello 0,5% rispetto al mese precedente (-22 mila) e del 2,1% nei dodici mesi (-93 mila). Il tasso di inattività della fascia 15-24 anni è pari al 72,1%, diminuisce di 0,3 punti percentuali nell’ultimo mese e di 1,1 punti rispetto al 2013.

Se invece si fa riferimento agli inattivi tra i 15 e i 64 anni, il numero cala dello 0,1 rispetto a ottobre e del 2,2% rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività, pari al 35,7%, rimane invariato rispetto al mese precedente e scende di 0,7 punti su base annua.
La situazione non è serena neanche per quanto riguarda il tasso di occupazione, che è pari al 55,5%, scende di 0,1% rispetto al mese precedente e resta invariato rispetto a dodici mesi prima. A novembre gli occupati erano 22 milioni 310 mila, 48 mila in meno rispetto a ottobre (-0,2%) e 42 mila rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-0,2%).

Le cifre diventano sempre più marcate. Così nette che a volte rischiano di non fare neanche effetto su chi le osserva. Di mese in mese, salvo alcune eccezioni, il quadro peggiora anziché migliorare. A volte, per trovare delle statistiche incoraggianti, è necessario forzare la lettura dei numeri mettendo in evidenza solo i dati positivi. In questo caso, nessun gioco di prestigio. Nessuna illusione ottica. La situazione del lavoro in Italia sembra la più cupa degli ultimi anni.

mercoledì, dicembre 24, 2014

Garanzia Giovani, gli under 30 la bocciano: “Insufficiente”



Dai primi risultati parziali del monitoraggio informale lanciato da Repubblica degli Stagisti e Adapt emerge che i giovani italiani giudicano insoddisfacente l’iniziativa per aumentare l’occupabilità. La stragrande maggioranza delle valutazioni sta al di sotto del 6, con una netta maggioranza del voto “1” (oltre il 28%). Da segnalare l’età “alta” dei partecipanti: circa il 70% è nella fascia d’età 25-29 anni. I ragazzi segnalano spesso di aver ricevuto solo un generico riferimento a future offerte di lavoro o di stage (43,5%) e soltanto il 15,5% di chi ha sostenuto il primo colloquio è stato poi ricontattato dagli addetti dei servizi all'impiego per l'effettivo “trattamento”

Insufficiente. È questo il giudizio che i giovani italiani danno alla Garanzia Giovani fino a questo momento. Il responso arriva dai primi risultati parziali, elaborati sui primi 1.580 questionari ricevuti, del monitoraggio informale sulla Garanzia Giovani promosso da Repubblica degli Stagisti e Adapt.

Il sondaggio, online da metà ottobre, anonimo e tuttora attivo sul sito, permette agli under 30 di raccontare la propria esperienza diretta con il programma Ue per aumentare l’occupabilità dei giovani, ha raccolto al 10 dicembre (giorno in cui sono stati diffusi i primi risultati) le risposte di quasi 1.600 giovani
Il primo dato da segnalare è l’età dei partecipanti al monitoraggio: circa il 70% infatti è nella fascia d’età 25-29 anni. L’estensione del piano europeo dai 25 ai 29 anni è stata una richiesta del governo italiano: i risultati dimostrano che se l’accesso fosse stato limitato agli under 25 le criticità di Garanzia Giovani sarebbero state ancora maggiori, a riprova del fatto che in Italia i giovani entrano tardi nel mercato del lavoro e che non esiste una cinghia di trasmissione affidabile dalla scuola al lavoro.

Dalla Garanzia Giovani i ragazzi si aspettano almeno un’opportunità: molti (27%) dichiarano di aspettarsi di “trovare un lavoro”, fosse anche uno stage (34%). Esiste però un 14% di giovani “disillusi”, che ammettono di non avere grosse aspettative.

Quanto al completamento del processo, solo la metà degli iscritti (53,4%) dice di aver già svolto il primo colloquio: in questo, il sondaggio è in linea con i dati ministeriali. Chi l’ha effettuato ha atteso in media due mesi dalla registrazione.

Ciò che però non è rilevato dai risultati ministeriali è il contenuto degli incontri, che in molti casi è poco soddisfacente: molto spesso, i ragazzi segnalano di aver ricevuto solo un generico riferimento a future offerte di lavoro o di stage (43,5%) o di non aver ricevuto “nulla di concreto” (40%). Solo pochi (11%) affermano di essere soddisfatti delle informazioni ricevute durante il primo incontro di persona.
Ma l’effettiva presa in carico? È toccata solo a pochi partecipanti. Solamente il 15,5% di chi ha sostenuto il primo colloquio è stato poi ricontattato dagli addetti dei servizi all'impiego per l'effettivo “trattamento”. C'è dunque un 85% che resta per ora “congelato”, in attesa di qualche proposta concreta.
Probabilmente è questo il motivo per cui il giudizio che gli under 30 danno all'iniziativa è basso. Su una scala da uno a 10, solo un giovane su cinque ha dato la sufficienza, cioè un voto pari o superiore a 6. La stragrande maggioranza delle valutazioni sta invece al di sotto del 6, con una netta maggioranza del voto più basso: ha infatti dato “1” oltre il 28% dei partecipanti.
In ultimo, nel file che illustra nel dettaglio tutte le analisi dei dati, Repubblica degli Stagisti e Adapt riportano anche alcune testimonianze dei giovani iscritti al piano.

C’è un giovane del Lazio, per esempio, che descrive l’esperienza come “completamente fallimentare” in quanto durante il colloquio gli è stato comunicato che “pochissime aziende avevano posti disponibili”. Ma ci sono anche esperienze positive: un ragazzo del Veneto racconta di uno stage iniziato grazie a Garanzia Giovani mentre un’altra ragazza ha dovuto perfino rinunciare ad alcune offerte che erano giunte numerose.
Nei prossimi mesi la rilevazione proseguirà e soprattutto verranno ricontattati coloro che hanno sostenuto il sondaggio per verificare se l’iscrizione al programma ha portato o meno a risultati concreti in termini di occupabilità.

Il monitoraggio prevede infatti un nuovo contatto dopo due mesi dalla compilazione del primo questionario e un ultimo contatto dopo altri due mesi, dando quindi la possibilità ai partecipanti di dar conto dei progressi dell'iter di Garanzia Giovani nell'arco dei quattro mesi “garantiti” dal piano.

giovedì, dicembre 04, 2014

Jobs Act e Garanzia Giovani: quali saranno i veri cambiamenti


La riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Renzi convince, ma non del tutto. La Youth Guarantee è un’opportunità ancora da sfruttare. Sono questi i temi di cui si è discusso il 28 novembre a Milano durante il convegno “Lavoro: cosa cambia davvero con il Jobs Act e la Garanzia Giovani?”, organizzato da Synergie Italia e Adapt. Tra i relatori Giuseppe Garesio (ad di Synergie Italia), Oscar Giannino ed Emmanuele Massagli (presidente Adapt)

La riforma del mercato del lavoro targata Renzi riuscirà ad avere un impatto positivo sull’occupazione? Il governo e le Regioni saranno capaci di non sprecare l’opportunità della Youth Guarantee? Se ne è discusso il 28 novembre nella sede di Assolombarda a Milano durante il convegno “Lavoro: cosa cambia davvero con il Jobs Act e la Garanzia Giovani?”, organizzato da Synergie Italia e Adapt, associazione di studi sul lavoro fondata da Marco Biagi. L’iniziativa faceva parte dei progetti per celebrare i 15 anni di attività di Synergie Italia.

«Il Jobs Act? Luci e ombre», ha commentato Oscar Giannino, giornalista ed ex leader del movimento Fare per fermare il declino. «È il quinto intervento sul mercato del lavoro in cinque anni: così le imprese non ci capiscono nulla. Ma i pregi ci sono, a cominciare dall’abolizione della compresenza tra reintegro e indennizzo in caso di licenziamento economico».

Ma la riforma sarà in grado di risolvere i problemi del mercato del lavoro? Secondo il giornalista, che aveva il compito di moderare il dibattito, molto dipenderà dai decreti attuativi. «Bisognerà capire come verranno tipizzati i licenziamenti disciplinari riguardo al reintegro e cosa si stabilirà sul calcolo degli indennizzi. Inoltre, se l’introduzione del contratto a tutele crescenti è apparentemente molto ragionevole sarà necessario capire come sarà effettuato lo sfoltimento degli altri contratti a termine: i call center, per esempio, già temono che l’abolizione del contratto a progetto potrebbe equivalere per loro alla disoccupazione».

Anche Giannino, poi, si unisce al coro delle critiche – provenute da varie parti, sia politiche che sociali – secondo cui il Jobs Act ha posto poca attenzione all’apprendistato («che invece andrebbe rafforzato») e al lavoro autonomo. «In questo momento – ha concluso – è difficile quindi elaborare l’effetto sull’occupabilità».

Per fare analisi è necessario partire da dati condivisi. Invece, proprio il 28 si è assistito alla “guerra di numeri” tra il Ministero del Lavoro (più di 400 mila nuovi “posti fissi” in base alle comunicazioni obbligatorie relative al lavoro dipendente e parasubordinato nel terzo trimestre del 2014) e l’Istat (disoccupati a quota 3,41 milioni in base alle rilevazioni mensili e trimestrali).

A ridare un senso alle cifre ci ha pensato Emmanuele Massagli, presidente di Adapt. «Osservando le comunicazioni obbligatorie, notiamo che gli avviamenti di rapporti di lavoro sono stati nel terzo trimestre 2,47 milioni, il 2,4% in più rispetto allo stesso periodo 2013», ha detto Massagli. «Allo stesso tempo, le cessazioni sono state 2,41 milioni. La maggior parte dei rapporti di lavoro sono quelli a tempo determinato, visto che il Ministero comunica che sono il 70% circa dei nuovi contratti. Questa prevalenza è anche una conseguenza della riforma Fornero, che aveva irrigidito più o meno tutte le altre forme contrattuali tranne il tempo determinato».

Un elemento rilevante, secondo il presidente Adapt, riguarda l’apprendistato. «Dalle comunicazioni obbligatorie emerge che è cresciuto del 3%: è poco, ma è un dato interessante». Sezionando invece i numeri dell’Istat, Massagli ha evidenziato che il numero dei disoccupati in Italia (3 milioni e 410 mila) è aumentato, così come il tasso di disoccupazione (arrivato a 13,2%). «Ma le statistiche ci dicono anche che la quantità di over 50 al lavoro è aumentato: è un dato in controtendenza, che segnala la voglia di tornare a lavorare».

Per Massagli, alcune delle misure previste dal Jobs Act, come il contratto a tutele crescenti e la decontribuzione, sono in grado di incidere positivamente sul lavoro degli adulti. «Le imprese si trovano così a pagare di meno per avere personale preparato. Ma per i giovani, come ha dimostrato la bassa efficacia degli interventi degli ultimi governi, la decontribuzione non funziona». Una novità del Jobs Act è definire il contratto a tempo indeterminato come la forma “comune” di rapporto di lavoro. «È in grado questo contratto di leggere il mercato del lavoro del futuro? Ho i miei dubbi».

Un’altra incognita è rappresentata dall’abolizione del contratto a progetto. «Attenzione – ha avvertito lo studioso –. Se questa misura non sarà realizzata in modo graduale, centinaia di migliaia di lavoratori rischierebbero di rimanere senza impiego». Infine, una nota sull’introduzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione. «A parte l’infelice scelta dell’acronimo, mi chiedo: a che serve un’agenzia del genere se poi non si è capaci di far conoscere uno strumento importante come la Garanzia Giovani?».


I più chiamati in causa sono naturalmente i politici. E il parlamentare presente, Stefano Lepri, senatore Pd componente della commissione Lavoro, ha difeso gli intenti della riforma approvata alla Camera (e in via di approvazione al Senato) sottolineando i potenziali punti di forza. «Il contratto unico, assimilando in termini di flessibilità in uscita le imprese sotto i quindici dipendenti con quelle che ne hanno di più, è una misura potente per centinaia di migliaia di imprese: il fatto che ci siano pochissime aziende tra i 15 e i 20 dipendenti è la prova che al momento la legislazione è troppo rigida».

Quanto alle politiche attive per il lavoro, l’auspicio di Lepri è che si arrivi a una situazione in cui le agenzie private si occupano del matching tra domanda e offerta di lavoro mentre i centri per l’impiego supervisionano altre questioni di carattere organizzativo e burocratico.

Un no secco al Jobs Act, eccetto qualche eccezione, arriva da Valentina Aprea, assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lombardia. «È una delega in bianco al governo, a spesa pubblica sostanzialmente invariata, che difficilmente creerà nuova occupazione e che crea carrozzoni pubblici come l’Agenzia nazionale per l’occupazione», tuona l’assessore. «La strada giusta per creare posti di lavoro è la detassazione del lavoro per le imprese».

Come amministratrice, Aprea si concentra sull’applicazione di Garanzia Giovani che in Lombardia, caso raro, sta producendo risultati piuttosto soddisfacenti. «Il governo non ha lavorato bene su questo strumento. Ma è troppo presto per dire che la Youth Guarantee è fallita. Se sta cominciando a funzionare da noi in Lombardia, può succedere anche altrove».

Non si tirano fuori dal dibattito anche le imprese, che per bocca di Alessandro Maggioni, presidente dei Giovani imprenditori Confindustria Monza e Brianza, dicono: «Gli incentivi della Garanzia Giovani e dei bonus occupazionali sono poco chiari: ci abbiamo capito poco. In ogni caso, per quanto le riforme possano costituire un buon terreno per creare più occupazione, i “contadini” che assumono sono gli imprenditori e possono farlo solo se ci sono le condizioni giuste nell’economia. Ecco perché prima ancora del Jobs Act, serve una politica industriale efficace». Il Jobs Act può funzionare, spiega l’imprenditore. Ma è importante che, riguardo alla nuova disciplina dei licenziamenti economici, sia ben chiaro l’indennizzo da corrispondere al lavoratore.

Se il parere dei sindacati è generalmente contrario alla riforma made in Renzi, la Cisl è la voce fuori dal coro. Roberto Benaglia, segretario confederale Cisl Lombardia con delega al mercato del lavoro, fa notare che il suo sindacato non partecipa allo sciopero generale indetto dalla Cgil il 12 dicembre e approva le linee di fondo del Jobs Act. «Riduce il dualismo tra i lavoratori con contratto a tempo indeterminato o che lavorano in imprese con più di 15 dipendenti e chi lavora senza un rapporto a tempo indeterminato e in piccole aziende».

Un elemento determinante, per il sindacalista, è l’attenzione che la riforma del mercato del lavoro pone sulla tutela dei periodi di disoccupazione. «Puntare più risorse sugli ammortizzatori per la disoccupazione è positivo. Fa in modo che la cassa integrazione torni a essere uno strumento per fronteggiare brevi periodi di crisi».

Un soggetto che, in questo contesto, può svolgere un ruolo determinante sono le agenzie per il lavoro. Come ha spiegato Giuseppe Garesio, amministratore delegato di Synergie Italia. «Come Synergie Italia, festeggiamo i 15 anni di attività. Siamo partiti nel 1999, quando la legge Treu ha introdotto, con trent’anni di ritardo rispetto al resto d’Europa, il lavoro interinale. E ora, nel 2014, così come tutte le agenzie per il lavoro, possiamo essere protagonisti di questo cambiamento che il Jobs Act può generare, in quanto siamo una porta di ingresso gratuita per il lavoro permanente: non a caso, moltissimi lavoratori trovano un impiego stabile dopo una missione svolta attraverso un’agenzia per il lavoro. Questo ruolo delle agenzie va riconosciuto. E si può davvero fare in modo che pubblico e privato progettino insieme le politiche attive per il lavoro. Questa riforma ha molti tratti positivi, tra cui il passaggio verso processi “europei” di flexicurity. È una grandissima occasione di voltare pagina e non dobbiamo perderla».

L’incontro è stato chiuso da un’altra voce imprenditoriale: Michele Angelo Verna, direttore generale di Assolombarda. «Il Jobs Act? Sembra una riforma buona. È positivo per esempio che il tempo indeterminato venga definito la forma normale per i rapporti di lavoro. Il testo di legge, inoltre, sottolinea che i contratti devono essere “più convenienti” per le imprese: è un buon segno. Sono previsti sgravi per i primi tre anni: bene, vediamo se diventa una misura strutturale. O ancora, il demansionamento: può essere un’alternativa al licenziamento che prima non era prevista».

Semaforo verde, quindi. Ma purché al momento dei decreti, quando si deciderà concretamente come far funzionare la riforma, il governo non si muova in solitaria. «Il ministro Poletti ha parlato volutamente di “delega alta”. Al momento buono bisognerà discutere e confrontarsi con tutti: imprese, sindacati, esperti e media».