Lo sciopero “sospetto” degli
835 vigili su 1000 a Roma durante la notte di Capodanno ha riacceso la polemica
sulla tendenza dei lavoratori del pubblico impiego ad assentarsi indebitamente.
A rincarare la dose sono arrivati anche i dati di alcune associazioni
imprenditoriali tra cui Confindustria, secondo cui si potrebbero risparmiare
3,7 miliardi di euro se il livello di assenze del settore pubblico raggiungesse
quello, più basso, del privato. Ma il vero problema dell’assenteismo nella Pa
non risiede tanto nello spreco di denaro quanto nel fatto che questa prassi
contribuisce ad alimentare lo sprezzo delle regole tra i cittadini
Il casus belli è nato la notte di Capodanno. A Roma, 835 vigili urbani su 1000 si sono dati malati in massa. Hanno scelto di astenersi dal lavoro nonostante il turno del 31 dicembre fosse pagato quattro volte un turno. Poco prima di segnarsi in malattia, e/o in permesso per donare il sangue, gli agenti hanno tentato di convocare un’assemblea sindacale per questioni contrattuali.
Che fosse o meno fondato il motivo della assenza-protesta, il risultato è che a vegliare sulla Capitale durante la notte del 31 dicembre 2014 c’erano solo 165 vigili su 1000. Vista così, a tutto si poteva pensare fuorché a un’alternativa allo sciopero. Questo almeno ha percepito l’opinione pubblica, a giudicare dai commenti infuocati che la notizia ha suscitato su online su vari siti di informazione.
Il caso, naturalmente, non è passato inosservato neanche ai rappresentanti delle istituzioni. Il premier Matteo Renzi ha subito annunciato un giro di vite sul settore pubblico: “Nel 2015 cambiamo le regole del pubblico impiego″, ha twittato.
A ruota il ministro per la Pa, Marianna Madia, che ha sollecitato accertamenti e azioni disciplinari contro eventuali violazioni. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha dato avvio a un’inchiesta interna per verificare possibili “assenze ingiustificate”. Il Garante ha aperto un’indagine per sospetto sciopero selvaggio. L’Inps si è proposta per fare i controlli al posto delle Asl.
I sindacati, con l’eccezione della Uil locale (“La maggior parte dei vigili ha donato il sangue: per questo erano esentati dal servizio”), hanno condannato l’accaduto, schierandosi, come la Cgil nazionale, “con chi è andato a lavorare”.
Una storia isolata? Macché. Sempre a Roma, intorno alla mezzanotte, alcune linee metropolitane hanno avuto dei ritardi perché su 24 macchinisti necessari a coprire lo straordinario, solo 7 hanno comunicato la loro disponibilità. E come se l’assenteismo fosse un vero e proprio virus, anche a Napoli, nell’ultima notte dell’anno, 200 netturbini si sono messi in malattia.
A prescindere dalle ragioni che hanno spinto questi lavoratori ad assentarsi, gli episodi sono una conferma indiretta dei dati sull’assenteismo appena diffusi da diverse organizzazioni. Secondo il Centro studi di Confindustria, i lavoratori pubblici hanno fatto registrare 19 giorni di assenze in media all’anno, sei in più dei dipendenti delle aziende private associate all’organizzazione di Viale dell’Astronomia.
Ma la stima che colpisce di più riguarda il risparmio che si potrebbe ottenere portando il livello dell’assenteismo della Pa al livello di quello del settore privato: oltre 3,7 miliardi di euro. Ci sarebbe minore necessità di personale e questo permetterebbe di spendere meno denaro dei contribuenti. Inoltre, a parità di costi, secondo il Centro studi di Confindustria, “un minore assenteismo aumenterebbe l’efficienza e la qualità dei servizi”.
Un po’ differenti sono i dati forniti dalla Cgia di Mestre negli stessi giorni. L’associazione imprenditoriale veneta è particolarmente abile nel diffondere con frequenza quasi quotidiana numeri sulla crisi che fanno il gioco dei media a caccia di titoli. Quindi, per quanto veritieri, vanno sempre presi con le pinze.
Fatta questa premessa, passiamo ai dati: secondo la Cgia, i lavoratori del settore privato fanno in media più assenze di quelli del pubblico (18,3 contro 17,1 giorni all’anno, sia nel 2013 che nel 2012). Nel pubblico impiego però ci sono molte più assenze-lampo (quelle cioè che vengono indennizzate): una su quattro dura un giorno solo. Nel privato, invece, sono l’11,9% sul totale. C’è il sospetto che le assenze brevi, in quanto pagate, nascondano forme di assenteismo. Sul banco degli imputati, quindi, tornano i lavoratori del pubblico impiego.
Di riflessioni sull’assenteismo nel pubblico se ne fanno da sempre. C’è chi lo ritiene un prodotto quasi inevitabile delle tutele di cui godono i lavoratori della Pa. Siccome è più complicato licenziare chi lavora per la pubblica amministrazione, i dipendenti tendono ad approfittarne assentandosi con maggiore frequenza. Chi difende con più ostinazione la professionalità – certamente presente a tutti i livelli – di chi lavora per lo Stato e per gli enti pubblici tende a presentare la situazione come un mero cliché o, in ogni caso, come un problema non prioritario. I guai, insomma, sarebbero “ben altri”.
E invece il guaio dell’assenteismo nella Pubblica amministrazione è uno dei più gravi del Paese. Non tanto per i 3,7 miliardi che si possono risparmiare secondo Confindustria. Il motivo per cui andrebbe considerato una piaga da curare prima possibile, anche con le maniere forti, è probabilmente più sottile. Ha a che fare con il modo in cui i cittadini si autorappresentano e con le ragioni che li spingono a infrangere le regole.
Non ci sono molti metodi per convincere un cittadino ad agire nel rispetto delle norme. Uno dei più efficaci è vedere che l’istituzione che ti chiede di ottemperare a delle leggi – lo Stato – è la prima a rispettarle. Viceversa, se chi introduce le norme non le segue, nei cittadini si innesca un meccanismo autoassolutorio per cui può capitare che anche la corruzione e l’evasione fiscale diventino prassi di cui non sentirsi più di tanto in colpa.
Estremizzando, basta un dipendente pubblico scoperto ad assentarsi in modo fraudolento per far sentire in pace con se stesso un italiano che decide di non pagare le tasse nella misura dovuta. E il circolo vizioso non si chiude mai.