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giovedì, ottobre 09, 2014

Massagli (Adapt) «La concertazione? Renzi l’ha archiviata definitivamente. Non vuole che i sindacati facciano politica»


Emmanuele Massagli, presidente dell’associazione degli studi sul lavoro fondata da Marco Biagi, commenta la scelta del premier di aprire un confronto con le organizzazioni sindacali prima del voto al Senato sul Jobs Act. «Ascoltare per un’ora i sindacati non significa riaprire l’era della concertazione ma semplicemente fare un atto di garbo istituzionale. Il presidente del Consiglio non ha interesse nei sindacati e fa in modo di relegarli alla loro funzione primaria: occuparsi delle questioni di lavoro tra aziende e lavoratori come la contrattazione di secondo livello, su cui il governo punta molto»

Tra Matteo Renzi e i sindacati la scintilla non è mai scoccata. Fin dai primi giorni a Palazzo Chigi, il premier non ha risparmiato frecciate alle organizzazioni sindacali. Le ha accusate di non essere in contatto con la realtà e – peggio ancora – di aver contribuito a creare un vero e proprio apartheid tra lavoratori tutelati e precari. Eppure, il giorno prima della fiducia in Senato sul Jobs Act, il disegno di legge delega che riforma il mercato del lavoro, il presidente del Consiglio ha convocato i sindacati per  un confronto.

Un gesto che equivale a reintrodurre la concertazione all’interno dello scenario politico? Secondo Emmanuele Massagli, presidente dell’associazione per gli studi sul lavoro Adapt, non è così: l’epoca dei sindacati che fanno politica è finita. Il gesto del capo del governo sarebbe più che altro dovuto all’eleganza istituzionale e alla voglia di mettere tra le priorità il tema della contrattazione di secondo livello.

Il giorno prima della fiducia sul Jobs Act, Renzi ha riaperto la Sala Verde di Palazzo Chigi convocando i sindacati a discutere della riforma del mercato del lavoro. È ripartita la concertazione?
No, non è ripartita. Ed è molto probabile che la concertazione così come l’abbiamo conosciuta, ovvero quel concetto diffuso negli anni ’80 e ’90 in base al quale i sindacati sono legittimati a fare politica, sia definitivamente superato e archiviato. Il premier ha incontrato i sindacati per un’ora e le aziende per meno di un’ora: il tempo era poco. Più che un momento di confronto, è stato un momento informativo doveroso vista la portata degli interventi in approvazione sul lavoro. Ritengo che sia stato un passaggio voluto anche per eleganza istituzionale. E tra l’altro non mi sembra che le parti sociali al momento siano in grado di condizionare l’attività del governo.

Sembra però che nel testo in esame al Parlamento, alcuni temi spinosi come il superamento dell’articolo 18 e la riforma della disciplina dei licenziamenti siano stati “rinviati” ai decreti attuativi. Non sarà che qualche effetto l’incontro con Cgil, Cisl e Uil l’ha avuto?

Su questo tema c’è stata probabilmente confusione. È stato detto che nel maxiemendamento del governo non si parla di licenziamenti. Ma nella delega, di fatto, si fa riferimento all’introduzione di un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e già in principio non era previsto esplicitamente il superamento dell’articolo 18. Le norme sui licenziamenti, nel dettaglio, saranno stabilite con i decreti attuativi. 

Qual è la sua previsione riguardo ai futuri rapporti tra il governo e le organizzazioni sindacali: come si evolveranno?
Francamente credo che il rapporto rimarrà scarso, se non nullo, anche nei prossimi mesi e durante la redazione dei decreti attuativi che concretizzeranno il Jobs Act. Matteo Renzi non ha interesse nei sindacati, non crede al loro impatto, non teme la piazza. Al massimo, teme la sua minoranza in Parlamento. Se non altro perché vota e il Jobs Act deve necessariamente essere approvato nelle due Camere.

Tra i temi all’ordine del giorno c’è stato anche “l’ampliamento della contrattazione decentrata e aziendale”. Perché tanta attenzione sul tema? Quanto è vantaggioso, per le imprese e i lavoratori, potenziare la contrattazione di secondo livello?
Come Adapt abbiamo un’osservatorio sulla contrattazione di secondo livello. A marzo pubblicheremo primo rapporto, in cui intendiamo dimostrare, contratti alla mano, che in Italia di contrattazione aziendale se ne fa già tanta di buona qualità e che è uno strumento che permette di affrontare meglio la crisi. Le aziende che hanno attivato una contrattazione di secondo livello reale sono più capaci di fronteggiare la recessione senza ledere i diritti di nessuno e con modalità intelligenti.

Come si spiega il sostegno che Renzi continua a dare al tema?
Probabilmente deriva dall’intenzione di “relegare” il sindacato nel suo ambito originario: la gestione deille questioni di lavoro. Partendo dalla concezione per cui è tanto più facile rispondere ai bisogni quanto più si è vicini ai bisogni, Renzi non sopporta politicamente che il sindacato parli per tutti e voglia dire la sua sulla politica economica a livello nazionale. L’idea di sostenere il livello aziendale è coerente con questa sua logica. E allo stesso modo lo è il sostegno a una legge sulla rappresentanza e al salario minimo: contribuisce a spostare il sindacato verso una dimensione tecnica, subordinata alla politica, in cui queste organizzazioni diventano fondamentali soltanto per interagire con le aziende e per affrontare le questioni lavorative che si pongono di volta in volta.