STAMPA L'ARTICOLO

mercoledì, ottobre 15, 2014

Contratto unico a tutele crescenti: come funzionerà


Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è diventato il pilastro del Jobs Act. In attesa che la legge delega venga approvata in Parlamento e che i decreti delegati ne definiscano i dettagli, alcuni tratti fondamentali della nuova formula sembrano aver trovato un accordo unanime. Il “contratto unico” si applicherà ai neoassunti, darà garanzie che aumentano con il passare del tempo e cancellerà, almeno per i primi tre anni, le tutele previste dall’articolo 18 per i licenziamenti dovuti a motivi economici.

Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è diventato il pilastro della riforma del mercato del lavoro che approderà nel Jobs Act. L’idea alla base è quella di modificare il contratto a tempo indeterminato facendo in modo che le garanzie per chi lavora aumentino in base all’anzianità di servizio.

Ma come funzionerà? Nella legge delega all’esame del Parlamento non ci sono ancora i dettagli, ma alcuni aspetti sembrano mettere d’accordo tutti. La nuova formula si applicherà ai neoassunti e sarà un contratto a tempo indeterminato che permetterà al datore di lavoro, nei primi trentasei mesi, di licenziare il lavoratore in ogni momento per motivi di carattere economico. 

Se l’imprenditore decide di interrompere il rapporto di lavoro durante i primi tre anni ha l’obbligo di corrispondere al lavoratore un’indennità in denaro che aumenta con il passare del tempo. Licenziare un dipendente costerà progressivamente sempre di più. Starà poi alla legge stabilire a quanto debba ammontare la compensazione per il dipendente. Si andrebbe da due a sei mesi di retribuzione. Ma per ora è soltanto un’ipotesi.

Nella fase di inserimento dei primi tre anni, quindi, l’unica tutela è l’indennizzo monetario (a meno che non si tratti di licenziamenti disciplinari e discriminatori). Se invece l’interruzione del rapporto di lavoro è per giusta causa, la compensazione monetaria non va riconosciuta.

Nel periodo di inserimento, il lavoratore viene tutelato dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per quanto riguarda il licenziamento discriminatorio  e il licenziamento disciplinare considerato illegittimo (solo in alcuni casi gravi, che verranno definiti dai decreti delegati). In caso di licenziamento per motivi economici, invece, varrebbe soltanto la protezione dell’indennizzo. Al lavoratore verrebbero cioè riconosciuti da due a sei mesi di salario, a seconda del tempo passato in azienda, e non il reintegro sul posto di lavoro.

Ma cosa succederebbe dopo i primi tre anni? Su questo punto non c’è ancora accordo. Le ipotesi in campo però sono sostanzialmente tre. C’è chi vorrebbe fare in modo che, superata la fase di inserimento, anche il contratto unico venga regolato dalla stessa disciplina dei licenziamenti che vige oggi.

In altre parole, passati i tre anni, il lavoratore sarebbe di nuovo tutelato pienamente dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: nelle aziende con più di quindici dipendenti, un licenziamento riconosciuto dal giudice come illegittimo darebbe quindi diritto alla cosiddetta “tutela reale”, ovvero la reintegrazione in azienda.

L’ipotesi “hard” invece è quella che prevede l’abolizione della protezione dell’articolo 18: in caso di licenziamento (tranne quello discriminatorio  e quello disciplinare in alcune forme gravi), il dipendente avrebbe diritto soltanto a un indennizzo che cresce proporzionalmente all’anzianità di servizio. 
La terza possibilità in ballo - una via di mezzo tra le prime due - sarebbe quella di far valere la protezione dell’articolo 18 solo dopo un certo numero di anni di servizio (si parla di sei, dodici o quindici) oppure quando il dipendente raggiunge una certa età.

A differenza di altre tipologie contrattuali come l’apprendistato, il contratto unico potrebbe essere applicato a tutti e non solo agli under 30. In questo modo, il reinserimento per categorie come le donne dopo il periodo di maternità o gli over 50 sarebbe più semplice.

Nessun commento:

Posta un commento