La frase in cui Lorenzo racconta agli studenti
dell’Università di Firenze di aver fatto
da giovane alcune attività gratuite durante le sagre paesane ha suscitato commenti
piccati sulla stampa e sui social network. Un po’ come accadde qualche anno
fa all’ex
ministra del Welfare Elsa Fornero quando parlò di giovani choosy o del
lavoro che «non è un diritto». Perché tanta virulenza nelle critiche? Probabilmente perché in un periodo del genere,
l’Italia
non è abbastanza serena per
accogliere sportivamente affermazioni sul lavoro che suonano come “inusuali”
La frase sembrava innocua: «Nei festival in America vedevo tantissimi ragazzi che lavoravano. Erano tutti volontari, non venivano pagati, ma si portano a casa un’esperienza. È capitato anche a me. Mi sono ricordato che quando ero ragazzo anche io lavoravo gratis alle sagre e mi divertivo come un pazzo. Imparavo ad essere gentile con le persone, se mi avessero detto non lo fare, vai in colonia, sarebbe stato peggio. Ma per me quel volontariato lì era una festa anche se lavoravo alla sagra della ranocchia… Mi dava qualcosa».
Apriti cielo. Per aver pronunciato queste parole davanti agli studenti dell’Università di Firenze il 4 giugno, Jovanotti è stato bersaglio di critiche e commenti al vetriolo sui social network. Aver osato affermare che in alcuni casi, per entrare nel mondo del lavoro, o semplicemente come alternativa al non far nulla, si possono svolgere alcune attività gratuite gli è costato per qualche ora l’etichetta di persona che invita i giovani a farsi sfruttare.
Il tam tam in Rete è cresciuto così in fretta che Lorenzo Cherubini ha sentito la necessità di precisare subito sulla sua pagina Facebook di essere stato probabilmente frainteso: «Ora va bene tutto, ma io di passare come quello che oggi avrebbe detto che è giusto lavorare gratis non ne ho nessuna intenzione, per il semplice fatto che non l'ho detto e non lo penso», ha scritto.
Non basta quindi la popolarità e non è sufficiente essere uno dei cantanti più amati d’Italia. Una minima gaffe - posto che quella di Lorenzo lo sia - in tema lavoro non viene perdonata a nessuno. Per avere un’idea delle reazioni che la frase è riuscita a scatenare basta raccogliere qualche tweet contrassegnato dall’hashtag #Jovanotti.
«"Sì al #lavoro gratis se serve a fare un’esperienza" Un'altra voce nel mainstream che abitua i #giovani allo sfruttamento», scrive @AleBezzi. «Non c'è niente di peggio di un milionario che dice a dei morti di fame di andare a lavorare gratis», gli fa eco @cicciogia. «Allora tutti al concerto di #Jovanotti gratis», commenta ironicamente @LisaMarinaro1. Caustico @LughinoViscorto: «#Jovanotti , braccia rubate ai lavori gratis per fare esperienza». E ancora, @LinoMilita: «Dite a #Jovanotti che i giovani in Italia già stanno lavorando gratis». O @Pimpinellas, che assume dei toni quasi rancorosi: «Capisco che è poco pratico di lavoro, non avendolo frequentato molto, ma spiegategli che quello alle sagre è una cosa diversa».
La frase sembrava innocua: «Nei festival in America vedevo tantissimi ragazzi che lavoravano. Erano tutti volontari, non venivano pagati, ma si portano a casa un’esperienza. È capitato anche a me. Mi sono ricordato che quando ero ragazzo anche io lavoravo gratis alle sagre e mi divertivo come un pazzo. Imparavo ad essere gentile con le persone, se mi avessero detto non lo fare, vai in colonia, sarebbe stato peggio. Ma per me quel volontariato lì era una festa anche se lavoravo alla sagra della ranocchia… Mi dava qualcosa».
Apriti cielo. Per aver pronunciato queste parole davanti agli studenti dell’Università di Firenze il 4 giugno, Jovanotti è stato bersaglio di critiche e commenti al vetriolo sui social network. Aver osato affermare che in alcuni casi, per entrare nel mondo del lavoro, o semplicemente come alternativa al non far nulla, si possono svolgere alcune attività gratuite gli è costato per qualche ora l’etichetta di persona che invita i giovani a farsi sfruttare.
Il tam tam in Rete è cresciuto così in fretta che Lorenzo Cherubini ha sentito la necessità di precisare subito sulla sua pagina Facebook di essere stato probabilmente frainteso: «Ora va bene tutto, ma io di passare come quello che oggi avrebbe detto che è giusto lavorare gratis non ne ho nessuna intenzione, per il semplice fatto che non l'ho detto e non lo penso», ha scritto.
Non basta quindi la popolarità e non è sufficiente essere uno dei cantanti più amati d’Italia. Una minima gaffe - posto che quella di Lorenzo lo sia - in tema lavoro non viene perdonata a nessuno. Per avere un’idea delle reazioni che la frase è riuscita a scatenare basta raccogliere qualche tweet contrassegnato dall’hashtag #Jovanotti.
«"Sì al #lavoro gratis se serve a fare un’esperienza" Un'altra voce nel mainstream che abitua i #giovani allo sfruttamento», scrive @AleBezzi. «Non c'è niente di peggio di un milionario che dice a dei morti di fame di andare a lavorare gratis», gli fa eco @cicciogia. «Allora tutti al concerto di #Jovanotti gratis», commenta ironicamente @LisaMarinaro1. Caustico @LughinoViscorto: «#Jovanotti , braccia rubate ai lavori gratis per fare esperienza». E ancora, @LinoMilita: «Dite a #Jovanotti che i giovani in Italia già stanno lavorando gratis». O @Pimpinellas, che assume dei toni quasi rancorosi: «Capisco che è poco pratico di lavoro, non avendolo frequentato molto, ma spiegategli che quello alle sagre è una cosa diversa».
La polemica si è spinta anche sulle pagine dei siti di informazione, che hanno ospitato i commenti di giornalisti e blogger pronti a “fare a fette” Jovanotti per l’esternazione. «Beato lui, che si divertiva, perché noi invece a smazzarci per un tozzo di pane e una pacca sulla spalla non ci divertiamo per niente. E non ci divertiamo per niente a sentirci fare la morale da qualcuno che si fa pagare, e anche molto bene, per il suo lavoro. Lavorare gratis non è etico, è immorale e inaccettabile. E quello che tu, Jovanotti, hai più o meno velatamente sostenuto è che farlo serve per diventare persone migliori. No, no e poi no», scrive Deborah Dirani sull’Huffington Post.
Il tono degli interventi è quasi sempre di questo tipo: una persona affermata, che probabilmente non ha problemi nell’arrivare alla fine del mese, non dovrebbe permettersi di suggerire ai giovani che esistono circostanze in cui lavorare gratis non è la fine del mondo.
Dalla parte di Jovanotti, solo poche voci. Come quella di Selvaggia Lucarelli, che dal suo profilo Facebook ha difeso il cantante così: «Ha detto una cosa semplice, e cioè che fare piccoli lavori gratis in giovane età può arricchire e perfino piacere, perché è il primo piede nel mondo del lavoro e degli adulti. Parlava della sua felicità nell'andare a portare i panini ai tavoli alla sagra della ranocchia, non a lavorare con la fiamma ossidrica 12 ore al giorno gratis per una multinazionale».
Tra i non detrattori, il giornalista Simone Cosimi che su Wired ha cercato di interpretare il senso profondo delle sue parole: «Il messaggio che Lorenzo voleva far passare (…)» è «non certo che lavorare gratis sia giusto (non lo è mai, il lavoro si paga) ma che nella vita può esistere un genere diverso di retribuzione, fatto di esperienze e magari, perché no, contatti e incontri. Se incassata in un periodo specifico della propria esistenza, ovviamente per una fase breve e priva di ogni vincolo, può essere un’aggiunta e non un abuso della propria identità. Un arricchimento e non una violazione di chissà quali diritti. Un muovere il culo invece di restarsene sdraiati».
A ben vedere, le polemiche seguite alle parole di Jovanotti non sono nuove. Solo pochi mesi fa, critiche altrettanto infuocate sono arrivate da più parti contro la scelta di Expo di reclutare qualche migliaio di volontari per compiere alcune attività logistiche e di accoglienza durante i sei mesi di esposizione. Anche in quel caso, volontariato e lavoro erano stati messi sullo stesso piano e si era parlato di sfruttamento.
Se invece si torna più indietro nel tempo, la mente non può che andare alle battute, talvolta infelici, di Elsa Fornero, la ministra del Welfare all’epoca del governo Monti. «I giovani escono dalla scuola e devono trovare un’occupazione. Devono anche non essere troppo “choosy”, come dicono gli inglesi», aveva dichiarato in un’occasione l’ex titolare del Lavoro. O ancora, in un’intervista al Wall Street Journal: «L'attitudine della gente deve cambiare: il lavoro va guadagnato, anche con il sacrificio, non è un diritto».
Probabilmente, le dichiarazioni della Fornero
riuscivano a toccare - e anche a urtare - maggiormente la sensibilità dei lavoratori. Ma la
sostanza è la stessa: in un periodo
in cui la disoccupazione giovanile è ben al di sopra al livello di guardia, la precarietà è ancora la normalità per moltissimi giovani e le retribuzioni medie di chi un
lavoro ce l’ha spesso non sono
commisurate al livello di preparazione, in Italia non ci si può permettere leggerezze
nell’affrontare
il tema del lavoro.
Ogni parola, anche volta a incoraggiare, viene scambiata per provocazione. Affermare che per entrare nel clima del lavoro è accettabile fare qualche esperienza, limitata e leggera, di volontariato sarebbe accettabilissimo in un periodo di relativa serenità. Ma diventa una bomba in un momento in cui il lavoro è spesso una chimera.
Ogni buon genitore inviterebbe i propri figli a non essere troppo schizzinosi nell’avvicinarsi al lavoro per la prima volta e a considerare il lavoro come un diritto, certo, ma per il quale bisogna lottare. Però se a dire queste stesse cose è una docente universitaria da una “cattedra” ministeriale allora il significato, alle orecchie dei giovani lavoratori e di chi commenta in rete, cambia diametralmente. Diventano fastidiose provocazioni.
In questo momento, l’Italia sembra troppo tesa e nervosa per accogliere sportivamente parole “inusuali” in tema lavoro. Chi ha voglia di dirle, lo tenga presente.
Ogni parola, anche volta a incoraggiare, viene scambiata per provocazione. Affermare che per entrare nel clima del lavoro è accettabile fare qualche esperienza, limitata e leggera, di volontariato sarebbe accettabilissimo in un periodo di relativa serenità. Ma diventa una bomba in un momento in cui il lavoro è spesso una chimera.
Ogni buon genitore inviterebbe i propri figli a non essere troppo schizzinosi nell’avvicinarsi al lavoro per la prima volta e a considerare il lavoro come un diritto, certo, ma per il quale bisogna lottare. Però se a dire queste stesse cose è una docente universitaria da una “cattedra” ministeriale allora il significato, alle orecchie dei giovani lavoratori e di chi commenta in rete, cambia diametralmente. Diventano fastidiose provocazioni.
In questo momento, l’Italia sembra troppo tesa e nervosa per accogliere sportivamente parole “inusuali” in tema lavoro. Chi ha voglia di dirle, lo tenga presente.