I primi dati sull’occupazione (+5% degli assunti a tempo indeterminato a febbraio 2015) confermano che le misure contenute nella Legge di Stabilità sono uno stimolo per le aziende ad ampliare il personale. Ma il contratto a tutele crescenti, la principale novità della riforma targata Renzi, conviene alle imprese? Secondo alcune simulazioni, sì. E parecchio: più della metà rispetto a quanto avrebbero speso in tasse nel 2013
Dei possibili effetti che il Jobs Act avrà sui lavoratori si è parlato a lungo e ancora si parlerà. Ma alle aziende, la riforma del mercato del lavoro targata Renzi, conviene? Riscontri concreti non ce ne sono ancora. Ma se si tiene conto di alcune stime e dei segnali positivi che arrivano dai numeri sull’occupazione, si può tentare di dare una risposta.
Di certo, Jobs Act o meno, la Legge di Stabilità ha previsto degli incentivi che incoraggeranno le assunzioni a tempo indeterminato nel 2015. Per le aziende che assumono personale con contratto permanente, la “finanziaria” ha stabilito una decontribuzione per tre anni consecutivi: il risparmio sarà in media di 8.070 euro all’anno per ogni neo-assunto.
In questo modo, per esempio, il contratto a tempo indeterminato (che dall’entrata in vigore della riforma è “a tutele crescenti” e dunque prevede il reintegro del lavoratore licenziato ingiustamente solo per casi di discriminazione o per casi disciplinari “che non sussistono”) viene a costare di meno dell’apprendistato inferiore a due anni e del contratto a tempo determinato.
Inoltre, è prevista una deducibilità ai fini Irap del costo del lavoro che avvantaggerà anche le aziende e non solo i lavoratori.
I primi effetti di queste misure si fanno sentire, dal momento che a febbraio 2015 c’è stata una consistente crescita dei contratti a tempo indeterminato. Secondo l'Osservatorio sul mercato del lavoro della CNA, che monitora le assunzioni su un campione di 20mila imprese, i nuovi contratti sono stati il 37,5% del totale, il 5% in più su febbraio 2014.
Tra le varie stime sui risparmi che avranno le aziende grazie al contratto a tutele crescenti, particolarmente significativa è quella fatta dal quotidiano online QuiFinanza, che ha analizzato diverse situazioni mettendo a confronto il costo sostenuto dalle imprese nel 2013 per un’assunzione a tempo indeterminato e una effettuata nel 2015 in base alle nuove norme.
Un caso riguarda un neo-assunto con un inquadramento a tempo indeterminato da 24 mila euro lordi all’anno con 13 mensilità e nessun figlio a carico. Due anni fa, questo contratto sarebbe costato all’impresa 2.633 euro, a cui sottrarre 1.325 euro di cuneo fiscale: il netto in busta paga sarebbe stato quindi di 1.308 euro al mese.
Nel 2015, il medesimo contratto costa all’azienda 1.983 euro, con un cuneo fiscale di 500 euro e un netto mensile di 1.483 euro. Il gap tra il cuneo fiscale del 2013 e quello del 2015 è del 64%. Un risparmio molto consistente.
Il secondo caso preso in esame è di un neo-assunto con un contratto a tempo indeterminato da 15 mila euro lordi. Anche in questo caso, le mensilità sono 13 e non ci sono figli a carico. Nel 2013, l’impresa avrebbe pagato 1.641 euro al mese. Togliendo 754 euro di cuneo fiscale si sarebbe arrivati a un netto in busta di 887 euro.
Nel 2015 la situazione cambia e il costo, per l’impresa, diminuisce fino a quota 1.239 euro. Cala anche il cuneo fiscale: 207 euro. Con il risultato che il lavoratore, in busta paga, si trova 1.032 euro e il risparmio sul cuneo sarebbe del 73%. Più che dimezzato anche in questo caso. Stando a queste simulazioni, quindi, al momento assumere nuovi lavoratori con un contratto a tempo indeterminato conviene.