STAMPA L'ARTICOLO

venerdì, ottobre 16, 2015

Why don't you get a job?

di Diego Castagno
 
I giovani in Italia? Sono un po’ bamboccioni, o meglio sono “Choosy”. Elsa Fornero, la lady di ferro della riforma delle pensioni in Italia, liquidava senza troppi indugi e senza troppi giri di parole il problema dell'occupazione giovanile e dei NEET, ovvero di quei giovani che non studiano e non lavorano. Choosy, nel senso che, a fronte di un mercato del lavoro sempre alla ricerca di risorse, molti "giovani" non accettavano i lavori offerti, preferendo restare senza fare nulla. Ovviamente la polemica mediatica e politica fu feroce, ma almeno mise in luce in maniera “ufficiale” e definitivo un problema che in pochi allora riuscivano a focalizzare nel nostro paese, vale a dire l’imbarazzante tasso di disoccupazione giovanile, e la questione NEET. Che non riguarda solo le giovani generazioni, e le cui cause sono per lo più dovute alla carenza di politiche strutturali ed efficaci nel medio periodo.
 
Un recente rapporto dell'ILO, il report sul  Global Employment Trend For Youth 2015, mette in luce come i giovani high-qualified non accettino volentieri lavori “dequalificanti”. E racconta di come in molti paesi del mondo la sfida dell'occupazione giovanile sia stata affrontata con l'ottica sbagliata. Non sono state infatti attuate politiche che tenessero conto del sistema del mercato del lavoro nel suo complesso, ma solamente interventi puntuali, limitati nel tempo e con obiettivi circoscritti, spesso non coordinati fra loro. Tra gli effetti di questa incapacità di ragionare in termini complessivi negli anni è aumentata la lontananza  fra le competenze acquisite nel periodo dell'istruzione e quelle richieste effettivamente nell'ambito lavorativo.
 
Tra le possibili soluzioni, il rapporto dell’ILO ne suggerisce alcune che sembrano fatte apposta per il nostro paese. Innanzitutto servirebbe un maggiore coordinamento fra i vari livelli istituzionali, quello nazionale, regionale e globale, in modo da adottare politiche comuni, o almeno compatibili fra loro. Sarebbe inoltre necessario sostenere con risorse adeguate le politiche attive per il lavoro, con programmazioni a medio termine, senza limitarsi alle politiche passive di contrasto alla disoccupazione da espulsione del mercato del lavoro. 
 
Inoltre dovrebbe essere facilitato l'inserimento dei giovani nelle aziende tramite sgravi fiscali, azione parzialmente operata in Italia grazie al JobAct, con esiti non sempre e non dovunque positivi. Secondo l’ILO, occorre facilitare la transizione scuola-lavoro per le fasce più svantaggiate della popolazione, ma allo stesso tempo bisogna tutelare anche i profili più alti, offrendo loro opportunità lavorative di qualità. Le politiche attive per il lavoro vanno inserite in un quadro di welfare che preveda le garanzie sociali, economiche e legali, per non polarizzare ulteriormente un mercato del lavoro già fortemente “segmentato” tra garantiti, ipergarantiti e non garantiti affatto. Insomma, volendo sintetizzare, i giovani non sono un problema, ma una risorsa, la cui valorizzazione passa attraverso un lavoro che consenta una partecipazione attiva alla società in cui sono inseriti. La disoccupazione giovanile e il mismatch sono due aspetti della stesso “problema”, ovvero la difficoltà di immaginare e sostenere modelli e politiche ambiziose di sviluppo di ampia portata.

Nessun commento:

Posta un commento