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mercoledì, maggio 13, 2015

Pensioni: 16 milioni di pensionati e 6,2 milioni iscritti ai fondi. Un rapporto squilibrato?



In vista della Giornata Nazionale della Previdenza e del Lavoro a Napoli, Itinerari previdenziali ha fotografato lo stato della previdenza in Italia: tra i pensionati, 8,5 milioni hanno una pensione assistita, mentre si spende di più per il gioco dazzardo che per il welfare integrativo. Nota positiva per gli under 40: con il progetto Inps La mia pensione possono sapere quanto devono aspettare per ritirarsi dal lavoro e quale potrebbe essere limporto dellassegno pensionistico


Oltre 16 milioni di pensionati, di cui 8,5 milioni (circa il 52,2%) con una pensione assistita, ovvero con unintegrazione o un sussidio offerti dallo Stato come forma di assistenza sociale o per invalidità civile. E sono 6,2 milioni gli italiani iscritti ai fondi pensione, per i quali ogni anno vengono spesi 6,73 miliardi di euro (al netto del Tfr).

A scattare la fotografia dello stato delle pensioni in Italia è Itinerari previdenziali, una realtà che opera nel campo della comunicazione legata al welfare e organizza la Giornata Nazionale della Previdenza e del Lavoro, in programma a Napoli il 12, 13 e 14 maggio.

In questo quadro, che ruolo giocano i fondi pensione? Al momento, secondo le stime presentate da Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali, il denaro destinato dagli italiani alla previdenza integrativa è ancora poco. Nonostante le risorse non manchino. A fronte dei 6,73 miliardi di euro investiti in fondi pensione (1.085 euro pro capite allanno), gli italiani spenderebbero 16,6 miliardi allanno per avere i consulti di maghi e fattucchiere: i fruitori abituali sarebbero 13 milioni. Allo stesso modo, 15 milioni di italiani dilapiderebbero 24 miliardi di euro allanno per il gioco dazzardo: 1.300 euro al mese a testa.

Non stupisce quindi, come evidenzia lOcse, che il rapporto tra il patrimonio complessivo gestito dai fondi pensione in Italia rispetto al Pil sia pari a 6,1 su 100. Negli altri Paesi industrializzati, la media ponderata è di 84,2 su 100. E in alcuni casi è addirittura superiore, come in Olanda dove il rapporto è di 166,3 su 100.

Accanto al tema della previdenza integrativa, c’è quello che riguarda il conoscere limporto della propria pensione in anticipo in modo da regolarsi ed effettuare scelte ponderate. A questo proposito, è da tenere docchio il progetto Inps, appena lanciato, La mia pensione, in base al quale i lavoratori con meno di 40 anni di età (17,8 milioni per il 2015 e altri 3,5 milioni a partire da gennaio 2016) potranno, da maggio, fare la proiezione sul periodo in cui potranno andare in pensione e, soprattutto, sullimporto che potranno ricevere. La risposta è già stata ampia, visto che nei primi giorni di maggio lInps ha registrato già 200 mila accessi di under 40 intenzionati a conoscere i propri tempi di attesa pensionistica.

mercoledì, febbraio 04, 2015

Il peso dell’istruzione nella ricerca del lavoro. Italia vs Europa



Il rapporto dell’Ocse “Education at a Glance” evidenzia che nel nostro Paese i laureati fanno fatica più di altri a trovare un impiego: il 16% di chi ha concluso un percorso universitario è disoccupato. La media degli altri Paesi è del 5,3%. Inoltre, l’Italia condivide in Europa con Portogallo, Spagna e Turchia le percentuali più alte di adulti (55-64 anni) e giovani (25-34 anni) con basse qualifiche

Quanto è importante avere una laurea per trovare lavoro? In Italia non molto. È quanto emerge dal recente rapporto intermedio dell’Ocse “Education at aGlance. Nel nostro Paese, 16 giovani adulti (25-34 anni) laureati su cento restano senza impiego

Il “pezzo di carta”, insomma, non ha più valore come in passato. Una situazione, questa, completamente diversa rispetto alla media europea: nel Vecchio Continente, solo il 5,3% di chi ha un titolo universitario in mano non riesce a reperire un’occupazione. Nella stessa fascia d’età fanno peggio di noi solo Grecia (33,1%), Spagna (20,8%), Portogallo (18,4%). Subito dopo, Turchia (11,1%) e Slovenia (10,8%).
E nonostante i titoli non aiutino sempre a trovare, in Italia è anche bassa la percentuale di chi li consegue. Nel 2013, un giovane adulto su sei (25-34 anni) era senza un diploma di scuola superiore; uno su quattro non era andato oltre la terza media e meno di uno su cinque era in possesso di una laurea. 

Nei Paesi Ocse, dove tra il 2000 e il 2013 quasi ovunque la percentuale di giovani che hanno conseguito una laurea ha visto un incremento medio del 14% (in Corea, Lussemburgo e Polonia è aumentata del 25%), la media è del 40%.

Che in Italia ci sia un problema con l’istruzione lo confermano anche i dati relativi alle percentuali di persone con qualifiche basse: sono le più alte, in Europa (insieme a Portogallo, Spagna e Turchia), tra i Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. E il primato negativo vale tanto per gli adulti (tra i 55 e i 64 anni) quanto per i giovani (25-34 anni).

Un altro dato allarmante riportato dall’organizzazione che ha sede a Parigi riguarda i cosidetti “Neet” (Not in education, employment or training), sigla che sta a indicare quelle persone, in gran parte giovani, che sono tagliati fuori sia dalla scuola (education) che dal lavoro (employment) e non si mettono neanche a seguire percorsi di formazione (training) per cercare un’occupazione.

Insieme agli altri Paesi della “periferia” dell’Europa (Grecia, Spagna e Turchia), siamo lo Stato che ha la più alta quota di ragazzi Neet della fascia d’età 25-29 anni. Nella fascia 20-24 anni, invece, i giovani che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in percorsi formativi sono uno su cinque. 

E se i giovani non riescono a trovare impiego dopo l’università, non ci riescono neanche durante. Se in altri Paesi è piuttosto frequente che i giovani facciano entrambi per inserirsi prima nel mondo del lavoro, in Italia solo cinque studenti su cento lavorano meno di dieci ore a settimana. In Islanda (ma anche, fuori Europa, in Canada e Stati Uniti) gli universitari arrivano a lavorare anche 34 ore settimanali.