Più della metà delle attività di recruiting si svolge, a livello mondiale, su piattaforme come Linkedin, Facebook e Twitter. A fine 2014 la percentuale arriverà al 61%. Eppure, secondo un’indagine condotta su 1.500 recruiter di 24 Paesi e 17 mila persone in cerca di impiego soltanto il 7% dei candidati riesce a trovare un’occupazione affidandosi ai social media. Incide anche la scarsa attenzione posta sulla web reputation: il 25,5% dei selezionatori ammette di aver scartato alcuni profili solo perché sulle loro pagine social personali comparivano foto imbarazzanti o commenti fuori luogo
Trovare lavoro attraverso i social network è più facile? Se si prendono in considerazione i
risultati di una ricerca svolta a
livello internazionale su 1.500
recruiter di 24 Paesi (di cui 269 italiani) e 17 mila persone in cerca di
impiego, la risposta sembra inequivocabile: no.
In buona sostanza, secondo lo studio, il social recruiting è una prassi molto diffusa tra i selezionatori ma alla fine è meno efficace del previsto per quanto riguarda la possibilità di far incontrare domanda e offerta di lavoro.
Nel 2014, soltanto sette candidati su cento hanno infatti reperito un posto grazie a Linkedin, Facebook, Twitter e simili. Certo, nel 2013 non andava meglio, dal momento che solo il 2% di chi andava alla ricerca di un’occupazione ci riusciva utilizzando le piattaforme sociali.
Eppure, stando ai dati del rapporto, curato da una multinazionale del settore HR e Università Cattolica di Milano, più della metà delle attività di selezione del personale (il 53%) si concentra ormai sulla rete e, in particolare, sui social media. E tanto per avere un’idea del trend, la percentuale del recruiting compiuto su Linkedin e co. sarà entro fine anno del 61%. Per esempio, chi si rivolge ai centri per l’impiego è dunque una minoranza.
La fiducia nel potere di Internet è quindi alta. In Italia, quest’anno, su un campione di 7.600 interpellati a caccia di un’occupazione, due su tre (il 67%) hanno affermato di utilizzare i social media come canale prioritario per la ricerca (rispetto al 2013 si registra una crescita del 14%) e il 56% ha anche pubblicato su queste piattaforme il proprio curriculum vitae (l’anno scorso la percentuale era del 30%).
Il luogo privilegiato per il collocamento, a prescindere dai risultati, sta diventando quindi la socialsfera. La piattaforma preferita per la ricerca professionale? Linkedin, scelto come prima risorsa online da quattro candidati su dieci (41%). Al secondo posto c’è un social più personale come Facebook, che raccoglie il 23% delle preferenze.
Le categorie che si affidano di più al web per individuare i profili più adatti sono quelli più legati al rapporto con i clienti: nelle vendite, il 54,2% delle professionalità vengono cercate così; nel marketing siamo al 40,8%. Altro settore che punta sui social per fare reclutamento è quello relativo ad amministrazione e finanza (45,8%). I servizi, insomma, vanno per la maggiore.
Ma, come abbiamo detto, solo il 7% delle persone che cercano un’occupazione riescono a trovarla grazie ai social. A cosa sono dovute queste percentuali così basse? Un elemento che incide è la cosiddetta web reputation, ovvero la reputazione che gli utenti si costruiscono sui social in base ai contenuti che diffondono.
Soprattutto su Facebook, che si presta particolarmente bene al racconto di fatti e opinioni personali, basta una frase fuori luogo, un commento sgradevole o un’esplicitazione delle proprie inclinazioni politiche a condizionare i selezionatori più di quanto possano fare mille curricula.
Le esperienze professionali e la carriera formativa contano, certamente. Ma più del 25% di chi si occupa di recruiting dichiara di aver cestinato cv e messo una x su un candidato solo per fotografie e prese di posizione pubblicate sulle pagine social personali.
A ogni fotografia goliardica in più, magari con una bottiglia di vino in mano, corrisponde una chance in meno di essere assunti. Il tutto, con buona pace dei responsabili delle risorse umane delle aziende: scartare i candidati per questi motivi non lascia spazio ad alcun senso di colpa.
In buona sostanza, secondo lo studio, il social recruiting è una prassi molto diffusa tra i selezionatori ma alla fine è meno efficace del previsto per quanto riguarda la possibilità di far incontrare domanda e offerta di lavoro.
Nel 2014, soltanto sette candidati su cento hanno infatti reperito un posto grazie a Linkedin, Facebook, Twitter e simili. Certo, nel 2013 non andava meglio, dal momento che solo il 2% di chi andava alla ricerca di un’occupazione ci riusciva utilizzando le piattaforme sociali.
Eppure, stando ai dati del rapporto, curato da una multinazionale del settore HR e Università Cattolica di Milano, più della metà delle attività di selezione del personale (il 53%) si concentra ormai sulla rete e, in particolare, sui social media. E tanto per avere un’idea del trend, la percentuale del recruiting compiuto su Linkedin e co. sarà entro fine anno del 61%. Per esempio, chi si rivolge ai centri per l’impiego è dunque una minoranza.
La fiducia nel potere di Internet è quindi alta. In Italia, quest’anno, su un campione di 7.600 interpellati a caccia di un’occupazione, due su tre (il 67%) hanno affermato di utilizzare i social media come canale prioritario per la ricerca (rispetto al 2013 si registra una crescita del 14%) e il 56% ha anche pubblicato su queste piattaforme il proprio curriculum vitae (l’anno scorso la percentuale era del 30%).
Il luogo privilegiato per il collocamento, a prescindere dai risultati, sta diventando quindi la socialsfera. La piattaforma preferita per la ricerca professionale? Linkedin, scelto come prima risorsa online da quattro candidati su dieci (41%). Al secondo posto c’è un social più personale come Facebook, che raccoglie il 23% delle preferenze.
Le categorie che si affidano di più al web per individuare i profili più adatti sono quelli più legati al rapporto con i clienti: nelle vendite, il 54,2% delle professionalità vengono cercate così; nel marketing siamo al 40,8%. Altro settore che punta sui social per fare reclutamento è quello relativo ad amministrazione e finanza (45,8%). I servizi, insomma, vanno per la maggiore.
Ma, come abbiamo detto, solo il 7% delle persone che cercano un’occupazione riescono a trovarla grazie ai social. A cosa sono dovute queste percentuali così basse? Un elemento che incide è la cosiddetta web reputation, ovvero la reputazione che gli utenti si costruiscono sui social in base ai contenuti che diffondono.
Soprattutto su Facebook, che si presta particolarmente bene al racconto di fatti e opinioni personali, basta una frase fuori luogo, un commento sgradevole o un’esplicitazione delle proprie inclinazioni politiche a condizionare i selezionatori più di quanto possano fare mille curricula.
Le esperienze professionali e la carriera formativa contano, certamente. Ma più del 25% di chi si occupa di recruiting dichiara di aver cestinato cv e messo una x su un candidato solo per fotografie e prese di posizione pubblicate sulle pagine social personali.
A ogni fotografia goliardica in più, magari con una bottiglia di vino in mano, corrisponde una chance in meno di essere assunti. Il tutto, con buona pace dei responsabili delle risorse umane delle aziende: scartare i candidati per questi motivi non lascia spazio ad alcun senso di colpa.