Un rapporto curato dalla Commissione europea mette a confronto il quadro normativo su stage e tirocini (e, in alcuni casi, apprendistati) nei Paesi membri dell’Unione. I tratti comuni sono molti, a cominciare dal fatto che il numero di stage attivati cresce di continuo e che ci sono almeno cinque tipologie ricorrenti. Altri aspetti piuttosto uniformi sono il basso (o nullo) compenso riservato ai tirocinanti e le degenerazioni presenti in alcuni settori come le agenzie creative e i media. Ma al di là degli elementi negativi c’è ovunque la consapevolezza che si tratti di uno strumento prezioso per avvicinare scuola e lavoro
Stage, tirocini, internship. Come sono in Europa? Cosa cambia tra uno Stato e l’altro? Una possibile risposta a queste domande la fornisce una ricerca della Commissione europea condotta in tutti i Paesi membri (manca solo la Croazia, ultima arrivata, ma lo studio risale a due anni fa).
L’indagine è stata realizzata dal centro di ricerca britannico Ies, dall’italiano Irs (Istituto per la ricerca sociale) e dal tedesco Bibb e mette a confronto gli ordinamenti sui tirocini dei 27 Stati Ue, dedicando a ciascuno di essi uno specifico approfondimento.
Dalla sintesi iniziale è possibile capire quali siano i trend comuni in Europa riguardo al tema stage, a cominciare dal fatto che l’informazione relativa all’argomento non è omogenea in tutti i Paesi: le fonti, quindi, sono di vario tipo.
Lo studio parte con il catalogare le varie forme di stage reperibili nel Vecchio Continente. Ne individua cinque: stage curriculari, ovvero legati al percorso formativo, universitario e non; tirocini post-laurea finalizzati all’ingresso nel mondo del lavoro; percorsi inseriti all’interno di programmi di politiche attive per il lavoro; quelli necessari per ottenere una qualifica; internship offerti da vari programmi internazionali, tra cui il Leonardo.
Alcuni aspetti valgono in tutti i Paesi membri. Il primo è
proprio la proliferazione dei tirocini,
a cui è seguita una serie di azioni per disciplinarli, orientarli e dotarli di
regole più ferree. Un altro elemento
comune riguarda il compenso, spesso
scarso o addirittura assente, per questa tipologia di formazione/lavoro.
Quando ci sono, i fondi a disposizione per finanziare queste forme di accesso al lavoro derivano quasi sempre da fondi europei, nazionali e regionali, borse di studio universitarie, bandi pubblici oppure iniziative di privati e aziende. Altrimenti, il tirocinante è costretto ad autofinanziarsi l’esperienza di stage
Grosse differenze si riscontrano riguardo alle definizioni di stage e di tirocinante. Nella maggior parte degli Stati membri c’è persino una definizione legale e di solito mette in relazione strettissima la formazione e il lavoro. Sintetizzando viene definito come un’esperienza che ha fini educativi/formativi, è legata all’apprendere un mestiere, una professione o una competenza e ha carattere temporaneo.
Così come non esiste una definizione omogenea e condivisa, non si può individuare neanche una normativa comune. E la discrepanza non è solo tra Stati ma anche tra varie forme di stage. Quelle più legate alla formazione o alle politiche attive per il lavoro tendono a essere le tipologie con il quadro normativo più solido. Mentre gli stage attivati liberamente sul mercato sono di solito meno regolati. Le norme relative agli stage si trovano in leggi e regolamenti che afferiscono tanto alla legislazione sul lavoro che a quella sull’istruzione.
Va notato – si sottolinea nell’indagine – che la presenza di leggi e regole non è una garanzia di qualità dello stage. È necessaria una corretta applicazione delle norme e un attento monitoraggio dell’intero processo. Anche se – precisa il rapporto – un dato positivo è costituito dal fatto che nelle varie normative nazionali tendano a essere approvate leggi che migliorano le condizioni degli stagisti.
I settori in cui è più facile che vengano attivati degli stage sono: quelli in cui è necessario un periodo di tirocinio (o di apprendistato, a seconda dei casi) per accedere alla professione (medicina, legge, insegnamento, architettura), i media, il giornalismo, le agenzie creative, il settore pubblico, il terzo settore, l’ospitalità e i servizi finanziari.
In alcuni di questi comparti – soprattutto agenzie creative, media e giornalismo – gli stage sono generalmente associati a: bassi contenuti di apprendimento, condizioni di lavoro insoddisfacenti, rimborsi/compensi inadeguati, contratti di stage rinnovati di continuo senza un’offerta di lavoro permanente. Inoltre, in questi contesti, non è raro vedere stagisti che vengono “assunti” al posto del personale regolare.
Ma al di là degli elementi negativi e delle distorsioni, c’è una consapevolezza comune, in Europa, secondo cui stage, tirocini (e apprendistati, laddove queste forme vanno a coincidere) sono uno strumento importante per facilitare la transizione dalla scuola al mondo del lavoro.
Quando ci sono, i fondi a disposizione per finanziare queste forme di accesso al lavoro derivano quasi sempre da fondi europei, nazionali e regionali, borse di studio universitarie, bandi pubblici oppure iniziative di privati e aziende. Altrimenti, il tirocinante è costretto ad autofinanziarsi l’esperienza di stage
Grosse differenze si riscontrano riguardo alle definizioni di stage e di tirocinante. Nella maggior parte degli Stati membri c’è persino una definizione legale e di solito mette in relazione strettissima la formazione e il lavoro. Sintetizzando viene definito come un’esperienza che ha fini educativi/formativi, è legata all’apprendere un mestiere, una professione o una competenza e ha carattere temporaneo.
Così come non esiste una definizione omogenea e condivisa, non si può individuare neanche una normativa comune. E la discrepanza non è solo tra Stati ma anche tra varie forme di stage. Quelle più legate alla formazione o alle politiche attive per il lavoro tendono a essere le tipologie con il quadro normativo più solido. Mentre gli stage attivati liberamente sul mercato sono di solito meno regolati. Le norme relative agli stage si trovano in leggi e regolamenti che afferiscono tanto alla legislazione sul lavoro che a quella sull’istruzione.
Va notato – si sottolinea nell’indagine – che la presenza di leggi e regole non è una garanzia di qualità dello stage. È necessaria una corretta applicazione delle norme e un attento monitoraggio dell’intero processo. Anche se – precisa il rapporto – un dato positivo è costituito dal fatto che nelle varie normative nazionali tendano a essere approvate leggi che migliorano le condizioni degli stagisti.
I settori in cui è più facile che vengano attivati degli stage sono: quelli in cui è necessario un periodo di tirocinio (o di apprendistato, a seconda dei casi) per accedere alla professione (medicina, legge, insegnamento, architettura), i media, il giornalismo, le agenzie creative, il settore pubblico, il terzo settore, l’ospitalità e i servizi finanziari.
In alcuni di questi comparti – soprattutto agenzie creative, media e giornalismo – gli stage sono generalmente associati a: bassi contenuti di apprendimento, condizioni di lavoro insoddisfacenti, rimborsi/compensi inadeguati, contratti di stage rinnovati di continuo senza un’offerta di lavoro permanente. Inoltre, in questi contesti, non è raro vedere stagisti che vengono “assunti” al posto del personale regolare.
Ma al di là degli elementi negativi e delle distorsioni, c’è una consapevolezza comune, in Europa, secondo cui stage, tirocini (e apprendistati, laddove queste forme vanno a coincidere) sono uno strumento importante per facilitare la transizione dalla scuola al mondo del lavoro.
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