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venerdì, gennaio 23, 2015

Assenteismo, perché è un guaio da debellare quanto prima



Lo sciopero “sospetto” degli 835 vigili su 1000 a Roma durante la notte di Capodanno ha riacceso la polemica sulla tendenza dei lavoratori del pubblico impiego ad assentarsi indebitamente. A rincarare la dose sono arrivati anche i dati di alcune associazioni imprenditoriali tra cui Confindustria, secondo cui si potrebbero risparmiare 3,7 miliardi di euro se il livello di assenze del settore pubblico raggiungesse quello, più basso, del privato. Ma il vero problema dell’assenteismo nella Pa non risiede tanto nello spreco di denaro quanto nel fatto che questa prassi contribuisce ad alimentare lo sprezzo delle regole tra i cittadini

Il casus belli è nato la notte di Capodanno. A Roma, 835 vigili urbani su 1000 si sono dati malati in massa. Hanno scelto di astenersi dal lavoro nonostante il turno del 31 dicembre fosse pagato quattro volte un turno. Poco prima di segnarsi in malattia, e/o in permesso per donare il sangue, gli agenti hanno tentato di convocare un’assemblea sindacale per questioni contrattuali. 

Che fosse o meno fondato il motivo della assenza-protesta, il risultato è che a vegliare sulla Capitale durante la notte del 31 dicembre 2014 c’erano solo 165 vigili su 1000. Vista così, a tutto si poteva pensare fuorché a un’alternativa allo sciopero. Questo almeno ha percepito l’opinione pubblica, a giudicare dai commenti infuocati che la notizia ha suscitato su online su vari siti di informazione.
Il caso, naturalmente, non è passato inosservato neanche ai rappresentanti delle istituzioni. Il premier Matteo Renzi ha subito annunciato un giro di vite sul settore pubblico: “Nel 2015 cambiamo le regole del pubblico impiego″, ha twittato. 

A ruota il ministro per la Pa, Marianna Madia, che ha sollecitato accertamenti e azioni disciplinari contro eventuali violazioni. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha dato avvio a un’inchiesta interna per verificare possibili “assenze ingiustificate”. Il Garante ha aperto un’indagine per sospetto sciopero selvaggio. L’Inps si è proposta per fare i controlli al posto delle Asl. 

I sindacati, con l’eccezione della Uil locale (“La maggior parte dei vigili ha donato il sangue: per questo erano esentati dal servizio”), hanno condannato l’accaduto, schierandosi, come la Cgil nazionale, “con chi è andato a lavorare”. 

Una storia isolata? Macché. Sempre a Roma, intorno alla mezzanotte, alcune linee metropolitane hanno avuto dei ritardi perché su 24 macchinisti necessari a coprire lo straordinario, solo 7 hanno comunicato la loro disponibilità. E come se l’assenteismo fosse un vero e proprio virus, anche a Napoli, nell’ultima notte dell’anno, 200 netturbini si sono messi in malattia.

A prescindere dalle ragioni che hanno spinto questi lavoratori ad assentarsi, gli episodi sono una conferma indiretta dei dati sull’assenteismo appena diffusi da diverse organizzazioni. Secondo il Centro studi di Confindustria, i lavoratori pubblici hanno fatto registrare 19 giorni di assenze in media all’anno, sei in più dei dipendenti delle aziende private associate all’organizzazione di Viale dell’Astronomia. 

Ma la stima che colpisce di più riguarda il risparmio che si potrebbe ottenere portando il livello dell’assenteismo della Pa al livello di quello del settore privato: oltre 3,7 miliardi di euro. Ci sarebbe minore necessità di personale e questo permetterebbe di spendere meno denaro dei contribuenti. Inoltre, a parità di costi, secondo il Centro studi di Confindustria, “un minore assenteismo aumenterebbe l’efficienza e la qualità dei servizi”.

Un po’ differenti sono i dati forniti dalla Cgia di Mestre negli stessi giorni. L’associazione imprenditoriale veneta è particolarmente abile nel diffondere con frequenza quasi quotidiana numeri sulla crisi che fanno il gioco dei media a caccia di titoli. Quindi, per quanto veritieri, vanno sempre presi con le pinze. 

Fatta questa premessa, passiamo ai dati: secondo la Cgia, i lavoratori del settore privato fanno in media più assenze di quelli del pubblico (18,3 contro 17,1 giorni all’anno, sia nel 2013 che nel 2012). Nel pubblico impiego però ci sono molte più assenze-lampo (quelle cioè che vengono indennizzate): una su quattro dura un giorno solo. Nel privato, invece, sono l’11,9% sul totale. C’è il sospetto che le assenze brevi, in quanto pagate, nascondano forme di assenteismo. Sul banco degli imputati, quindi, tornano i lavoratori del pubblico impiego.

Di riflessioni sull’assenteismo nel pubblico se ne fanno da sempre. C’è chi lo ritiene un prodotto quasi inevitabile delle tutele di cui godono i lavoratori della Pa. Siccome è più complicato licenziare chi lavora per la pubblica amministrazione, i dipendenti tendono ad approfittarne assentandosi con maggiore frequenza. Chi difende con più ostinazione la professionalità – certamente presente a tutti i livelli – di chi lavora per lo Stato e per gli enti pubblici tende a presentare la situazione come un mero cliché o, in ogni caso, come un problema non prioritario. I guai, insomma, sarebbero “ben altri”.

E invece il guaio dell’assenteismo nella Pubblica amministrazione è uno dei più gravi del Paese. Non tanto per i 3,7 miliardi che si possono risparmiare secondo Confindustria. Il motivo per cui andrebbe considerato una piaga da curare prima possibile, anche con le maniere forti, è probabilmente più sottile. Ha a che fare con il modo in cui i cittadini si autorappresentano e con le ragioni che li spingono a infrangere le regole. 

Non ci sono molti metodi per convincere un cittadino ad agire nel rispetto delle norme. Uno dei più efficaci è vedere che l’istituzione che ti chiede di ottemperare a delle leggi – lo Stato – è la prima a rispettarle. Viceversa, se chi introduce le norme non le segue, nei cittadini si innesca un meccanismo autoassolutorio per cui può capitare che anche la corruzione e l’evasione fiscale diventino prassi di cui non sentirsi più di tanto in colpa.

Estremizzando, basta un dipendente pubblico scoperto ad assentarsi in modo fraudolento per far sentire in pace con se stesso un italiano che decide di non pagare le tasse nella misura dovuta. E il circolo vizioso non si chiude mai.

venerdì, gennaio 16, 2015

Disoccupazione giovanile al 43,9%, mai così alta. Più di un giovane su dieci è senza lavoro



Gli ultimi dati provvisori Istat restituiscono un quadro sempre più allarmante per quanto riguarda la situazione dell’occupazione in Italia. A novembre 2014, il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è arrivato al 43,9%, il livello più elevato da quando esistono le serie storiche (1997). Il tasso di disoccupazione generale ha raggiunto il 13,4%: i senza lavoro sono 3 milioni e 457 mila. Cala il numero di occupati (22 milioni e 310 mila, - 48 mila rispetto al mese precedente) e il tasso di occupazione, pari al 55,5%.
Sale, sale, sale. E sembra che non ci sia nulla in grado di fermarlo. Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è aumentato ancora. A novembre 2014 ha raggiunto il 43,9%, 0,6 punti percentuali in più rispetto al mese precedente e 2,4 punti in più rispetto al novembre 2013.  A rilevarlo è l’Istat nelle stime provvisorie. Si tratta della percentuale di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni più alta dall’inizio delle serie storiche, cioè dal 1977, e da quello delle serie mensili (2004).
È un contesto in cui anche la disoccupazione generale fa registrare dati allarmanti. Il numero di disoccupati è pari a 3 milioni e 457 mila, l'1,2% rispetto al mese precedente (40 mila unità in più) e l’8,3% in più rispetto al novembre 2013 (264 mila in più). Il tasso di disoccupazione è pari al 13,4% (+0,2% rispetto a ottobre e +0,9% su base annua).

In questo quadro, gli under 25 che non riescono a trovare lavoro sono 729 mila, con un’incidenza del 12,2% rispetto alla loro fascia d’età, in lieve aumento rispetto al mese precedente (+0,3%) e in crescita di 1,1 punti percentuali sui dodici mesi.

Un giovane su dieci è disoccupato, quindi. Come precisa l’Istat, il tasso di disoccupazione giovanile è calcolato come la quota di giovani senza lavoro sul totale di chi lavora o è in cerca (gli attivi). Non è corretto pertanto dire, come spesso accade, che due under 25 su cinque sono disoccupati.
Il numero di giovani inattivi è pari a 4 milioni 304 mila, in calo dello 0,5% rispetto al mese precedente (-22 mila) e del 2,1% nei dodici mesi (-93 mila). Il tasso di inattività della fascia 15-24 anni è pari al 72,1%, diminuisce di 0,3 punti percentuali nell’ultimo mese e di 1,1 punti rispetto al 2013.

Se invece si fa riferimento agli inattivi tra i 15 e i 64 anni, il numero cala dello 0,1 rispetto a ottobre e del 2,2% rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività, pari al 35,7%, rimane invariato rispetto al mese precedente e scende di 0,7 punti su base annua.
La situazione non è serena neanche per quanto riguarda il tasso di occupazione, che è pari al 55,5%, scende di 0,1% rispetto al mese precedente e resta invariato rispetto a dodici mesi prima. A novembre gli occupati erano 22 milioni 310 mila, 48 mila in meno rispetto a ottobre (-0,2%) e 42 mila rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-0,2%).

Le cifre diventano sempre più marcate. Così nette che a volte rischiano di non fare neanche effetto su chi le osserva. Di mese in mese, salvo alcune eccezioni, il quadro peggiora anziché migliorare. A volte, per trovare delle statistiche incoraggianti, è necessario forzare la lettura dei numeri mettendo in evidenza solo i dati positivi. In questo caso, nessun gioco di prestigio. Nessuna illusione ottica. La situazione del lavoro in Italia sembra la più cupa degli ultimi anni.

lunedì, gennaio 12, 2015

Annunci di lavori ben pagati in Francia targati Synergie? Occhio alla truffa



Nel mese di dicembre Synergie Italia ha ricevuto centinaia di segnalazioni di annunci di lavoro online sul portale bakeca.it in cui venivano offerte posizioni lavorative in Francia. Agli annunci seguivano mail in cui si chiedeva ai candidati di inviare somme di denaro tra 90 e 150 euro a una persona che si autodefiniva collaboratore di Synergie per andare a Parigi e sostenere un colloquio preliminare. Si trattava di un’operazione di cui Synergie era totalmente all’oscuro e che ha raggirato una decina di persone che hanno effettuato il pagamento richiesto. Se queste offerte dovessero ripresentarsi, segnalatecele e non cadete nella trappola

A leggerli, sembravano normali annunci di lavoro online. Offrivano posizioni nell’ambito dei servizi. Prevedevano un luogo di lavoro identificabile. E promettevano anche ottimi compensi. Peccato che si trattava di una serie di potenziali truffe che ha avuto come destinatari centinaia di candidati italiani e che ha coinvolto il nome di Synergie, soggetto completamente estraneo a questa vicenda.

Vediamo più nel dettaglio in cosa è consistito il raggiro per evitare che altri possano cascare nella trappola.
Dai primi giorni del mese di dicembre 2014 fino alla vigilia di Natale, Synergie Italia ha ricevuto un centinaio di segnalazioni da parte di persone che avevano letto alcuni annunci di lavoro pubblicati sul sito bakeca.it che riguardavano impieghi di vario genere, soprattutto nel settore dei servizi (autotrasportatori, guardie armate, addetti agli skipass, addetti alla logistica). Il luogo di lavoro, per tutte le posizioni offerte, era la Francia.

Gli annunci erano sostanzialmente anonimi. Non erano indicati cioè nomi o indirizzi mail da contattare. L’unica possibilità di comunicare con chi aveva pubblicato le offerte era quella di candidarsi, compilando con i propri dati un modulo presente sulla piattaforma online.

Le persone che hanno sottoposto la propria candidatura hanno ricevuto nel giro di qualche giorno una lunga e-mail che spiegava meglio in cosa consisteva la posizione offerta. Il mittente era tale signor Falbo, a suo dire collaboratore di Synergie S.A. (la casa madre di Synergie, in Francia), e nel testo dell’e-mail garantiva lauti stipendi per ciascuno degli impieghi proposti, menzionava diverse filiali di Synergie, e utilizzava parti intere delle presentazioni presenti sul sito internet di Synergie.

Era incluso anche un numero telefonico francese da chiamare per ulteriori informazioni. Fin qui, a una lettura disattenta poteva effettivamente sembrare il messaggio di una persona che lavorava nel ramo delle risorse umane.

L’ultima parte dell’e-mail però lasciava spazio a sospetti: era a questo punto del testo che si poteva fiutare la probabile truffa. Il mittente chiedeva infatti il pagamento di una cifra variabile tra 90 e 150 euro, da versare tramite bonifico con Western Union, per far fronte a non meglio precisate pratiche burocratiche.

Davanti alle segnalazioni di persone insospettite, alcuni membri del team di Synergie Italia si sono finti candidati per capire meglio il funzionamento del meccanismo. Una volta verificato che si trattava di un’operazione di cui Synergie – lo ripetiamo – era totalmente all’oscuro, hanno risposto tempestivamente alle richieste di informazioni dissuadendo tutti dal versare denaro. In più, hanno avvertito sulle pagine social e sul sito aziendale (www.synergie-italia.it/notizie/138-probabile-truffa) dell’esistenza di un possibile raggiro.

Chi non ha letto l’avviso e ha effettuato il pagamento – una decina di persone – ha ricevuto un contratto fasullo e un falso biglietto aereo per raggiungere Parigi in data 5 gennaio 2015 e sostenere un incontro preliminare all’avvio dell’attività lavorativa.

Il luogo fissato per i colloqui era una filiale Synergie di Parigi, dove gli impiegati non sapevano nulla delle posizioni offerte negli annunci ma erano stati avvertiti dell’inganno. Nonostante avesse verificato che il biglietto era finto, un candidato è andato comunque nella capitale francese a proprie spese per partecipare a questo fantomatico incontro. Sono stati proprio gli impiegati parigini a dire del tranello al malcapitato.

Invitiamo chi dovesse imbattersi in annunci di lavoro e in e-mail in cui il nome e il marchio Synergie Italia sono accostati a richieste di denaro e/o a pratiche sospette a non “abboccare” e a segnalare ogni incongruenza all’indirizzo e-mail selezione.web@synergie-italia.it Non fatevi truffare.

mercoledì, dicembre 24, 2014

Garanzia Giovani, gli under 30 la bocciano: “Insufficiente”



Dai primi risultati parziali del monitoraggio informale lanciato da Repubblica degli Stagisti e Adapt emerge che i giovani italiani giudicano insoddisfacente l’iniziativa per aumentare l’occupabilità. La stragrande maggioranza delle valutazioni sta al di sotto del 6, con una netta maggioranza del voto “1” (oltre il 28%). Da segnalare l’età “alta” dei partecipanti: circa il 70% è nella fascia d’età 25-29 anni. I ragazzi segnalano spesso di aver ricevuto solo un generico riferimento a future offerte di lavoro o di stage (43,5%) e soltanto il 15,5% di chi ha sostenuto il primo colloquio è stato poi ricontattato dagli addetti dei servizi all'impiego per l'effettivo “trattamento”

Insufficiente. È questo il giudizio che i giovani italiani danno alla Garanzia Giovani fino a questo momento. Il responso arriva dai primi risultati parziali, elaborati sui primi 1.580 questionari ricevuti, del monitoraggio informale sulla Garanzia Giovani promosso da Repubblica degli Stagisti e Adapt.

Il sondaggio, online da metà ottobre, anonimo e tuttora attivo sul sito, permette agli under 30 di raccontare la propria esperienza diretta con il programma Ue per aumentare l’occupabilità dei giovani, ha raccolto al 10 dicembre (giorno in cui sono stati diffusi i primi risultati) le risposte di quasi 1.600 giovani
Il primo dato da segnalare è l’età dei partecipanti al monitoraggio: circa il 70% infatti è nella fascia d’età 25-29 anni. L’estensione del piano europeo dai 25 ai 29 anni è stata una richiesta del governo italiano: i risultati dimostrano che se l’accesso fosse stato limitato agli under 25 le criticità di Garanzia Giovani sarebbero state ancora maggiori, a riprova del fatto che in Italia i giovani entrano tardi nel mercato del lavoro e che non esiste una cinghia di trasmissione affidabile dalla scuola al lavoro.

Dalla Garanzia Giovani i ragazzi si aspettano almeno un’opportunità: molti (27%) dichiarano di aspettarsi di “trovare un lavoro”, fosse anche uno stage (34%). Esiste però un 14% di giovani “disillusi”, che ammettono di non avere grosse aspettative.

Quanto al completamento del processo, solo la metà degli iscritti (53,4%) dice di aver già svolto il primo colloquio: in questo, il sondaggio è in linea con i dati ministeriali. Chi l’ha effettuato ha atteso in media due mesi dalla registrazione.

Ciò che però non è rilevato dai risultati ministeriali è il contenuto degli incontri, che in molti casi è poco soddisfacente: molto spesso, i ragazzi segnalano di aver ricevuto solo un generico riferimento a future offerte di lavoro o di stage (43,5%) o di non aver ricevuto “nulla di concreto” (40%). Solo pochi (11%) affermano di essere soddisfatti delle informazioni ricevute durante il primo incontro di persona.
Ma l’effettiva presa in carico? È toccata solo a pochi partecipanti. Solamente il 15,5% di chi ha sostenuto il primo colloquio è stato poi ricontattato dagli addetti dei servizi all'impiego per l'effettivo “trattamento”. C'è dunque un 85% che resta per ora “congelato”, in attesa di qualche proposta concreta.
Probabilmente è questo il motivo per cui il giudizio che gli under 30 danno all'iniziativa è basso. Su una scala da uno a 10, solo un giovane su cinque ha dato la sufficienza, cioè un voto pari o superiore a 6. La stragrande maggioranza delle valutazioni sta invece al di sotto del 6, con una netta maggioranza del voto più basso: ha infatti dato “1” oltre il 28% dei partecipanti.
In ultimo, nel file che illustra nel dettaglio tutte le analisi dei dati, Repubblica degli Stagisti e Adapt riportano anche alcune testimonianze dei giovani iscritti al piano.

C’è un giovane del Lazio, per esempio, che descrive l’esperienza come “completamente fallimentare” in quanto durante il colloquio gli è stato comunicato che “pochissime aziende avevano posti disponibili”. Ma ci sono anche esperienze positive: un ragazzo del Veneto racconta di uno stage iniziato grazie a Garanzia Giovani mentre un’altra ragazza ha dovuto perfino rinunciare ad alcune offerte che erano giunte numerose.
Nei prossimi mesi la rilevazione proseguirà e soprattutto verranno ricontattati coloro che hanno sostenuto il sondaggio per verificare se l’iscrizione al programma ha portato o meno a risultati concreti in termini di occupabilità.

Il monitoraggio prevede infatti un nuovo contatto dopo due mesi dalla compilazione del primo questionario e un ultimo contatto dopo altri due mesi, dando quindi la possibilità ai partecipanti di dar conto dei progressi dell'iter di Garanzia Giovani nell'arco dei quattro mesi “garantiti” dal piano.

lunedì, dicembre 22, 2014

Daverio (giuslavorista, studio legale Daverio&Florio): «Il demansionamento introdotto dal Jobs Act? Funziona solo se lascia margini di libertà all’impresa. Anche di proporre al dipendente un compenso più basso»



Nella legge delega sul mercato del lavoro approvata dal Parlamento è previsto che sia più facile per l’imprenditore cambiare le mansioni a un lavoratore in casi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale. Ma c’è il rischio di abusi? Può essere efficace se obbliga l’azienda a non modificare il compenso? Alle domande di Synforma risponde l’avvocato Fabrizio Daverio, esperto di diritto del lavoro: «Se il cambio di mansione serve solo a evitare un licenziamento, allora la giurisprudenza attuale è già sufficiente. Non servono modifiche»


Nel Jobs Act è prevista un modifica delle norme relative al demansionamento dei lavoratori. Il Parlamento ha delegato il governo a regolamentare in modo nuovo questa materia permettendo ai datori di lavoro, nei casi di «riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale», di “abbassare” le mansioni dei propri dipendenti nell’ottica di un «utile impiego del personale».

Allo stesso tempo, la modifica dell’inquadramento di chi lavora deve avvenire – si legge nel testo della delega – nell’«interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche».

In sostanza, la riforma del mercato del lavoro dell’esecutivo consente alle aziende di ricorrere con più facilità al demansionamento come alternativa al licenziamento. Ma al contempo la legge sembra stabilire che la decisione deve essere presa senza danno economico per il lavoratore, ovvero mantenendo inalterato il compenso.

In attesa di sapere come verrà attuata la norma attraverso i decreti delegati, questa modifica ha suscitato non pochi dubbi. Da una parte, c’è chi teme che le aziende possano abusare di questa opzione per ridimensionare il costo del personale. Dall’altra, c’è chi sostiene che un intervento del genere non ha senso se si impone al datore di lavoro di mantenere inalterato il trattamento economico del lavoratore. Anche perché già è possibile, in determinati casi, ricorrere a questa possibilità per scongiurare l’interruzione di un rapporto di lavoro.

Abbiamo chiesto un parere sull’argomento all’avvocato Fabrizio Daverio, giuslavorista e socio fondatore dello studio legale Daverio&Florio.

Avvocato, cosa cambia con le nuove norme sul demansionamento?
È importante fare una premessa: il Jobs Act è una legge delega che attribuisce al governo la possibilità di emanare norme dettagliate sulla base di principi generali. Quindi, ogni considerazione puntuale può essere fatta solo davanti ai decreti legislativi che saranno emanati. Detto ciò, l’indicazione che dà la legge delega è molto generica. L’idea è di consentire un più flessibile cambio di mansioni in presenza di motivazioni particolari. In Italia, la norma sulla dequalificazione – l’articolo 2103 del codice civile – è troppo rigida: non si può cambiare di mansione un lavoratore se non dandogli un’altra di pari valore. La delega va invece in un’altra direzione: quella di consentire, in casi di riorganizzazione aziendale o in altre situazioni delicate, la modifica delle mansioni per scongiurare l’ipotesi peggiore, ovvero la risoluzione del rapporto di lavoro.

Però anche prima di questa norma si poteva derogare al divieto di demansionamento.
La norma vigente è rigorosissima e non consente alcuna deroga. È stata la giurisprudenza ad ammettere la deroga solo nei casi in cui si trattava di salvare il posto di lavoro. E  a condizione che il lavoratore fosse d’accordo.

A suo parere c’è il rischio che questa norma generi abusi da parte delle imprese?
Molto dipenderà dalla norma dettagliata emanata dal governo. Senza dubbio la norma potrebbe dare maggiore elasticità e flessibilità al datore di lavoro. Potrebbe consentire un cambio di mansione anche al di là del limite dell’equivalenza.

Però pare che sarà a parità di stipendio. Nel testo si legge «tutela delle condizioni di vita ed economiche»…
Faccio un esempio volutamente estremo. Se per esempio la posizione lavorativa di un quadro non fosse più disponibile per necessità organizzative e fosse disponibile solo la posizione di operaio, non avrebbe senso un quadro retribuito con il compenso da quadro ,a con una posizione da operaia. Il rischio che la norma perda di efficacia c’è. Secondo me bisogna lasciare la possibilità di negoziare il compenso al libero accordo delle parti, magari davanti alla direzione del lavoro o in sede sindacale. 


In sintesi, sempre basandosi sul testo della legge delega, la trova una novità positiva?
Se verrà applicata solo ai casi in cui si tratta di salvare i posti di lavoro allora è gia sufficiente la giurisprudenza che abbiamo. L’elemento di novità sarebbe molto scarso. Se invece consentirà anche maggiore flessibilità, a prescindere dai casi in cui si evita il licenziamento, e darà ampia liberta alle parti di modulare le intese a seconda dei casi senza escludere la rivisitazione del trattamento economico, allora sarà un ulteriore contributo di ammodernamento della normativa vigente.