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lunedì, giugno 11, 2018

ANPAL: online la utility per verificare i requisiti di accesso ad assunzioni incentivate


L'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) ha comunicato l’attivazione, nella sezione ad accesso riservato dei servizi Anpal, una nuova funzionalità denominata "incentivabilità" che permette di verificare se un soggetto risulti "svantaggiato" ai sensi del Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 17 Ottobre 2017.

In particolare la funzionalità verifica, in merito alla condizione di “privo di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi”, la presenza o meno di comunicazioni obbligatorie relative a rapporti di lavoro precedenti ma non tiene conto di eventuali peridi di lavoro autonomo svolti.

Tale condizione è una di quelle richieste affinché il datore di lavoro che assume possa usufruire degli incentivi all’occupazione introdotti dalla c.d. Legge Fornero. L’utility sarà quindi in grado di verificare che la persona la cui assunzione si presume incentivabile, negli ultimi sei mesi, non abbia prestato attività lavorativa riconducibile a un rapporto di lavoro subordinato della durata di almeno sei mesi.

Il servizio “incentivabilità” è a disposizione, tramite l’apposita sezione del portale ANPAL, dei centri per l'impiego, degli operatori iscritti all'albo informatico delle agenzie per il lavoro, dei soggetti iscritti all'albo nazionale dei soggetti accreditati ai servizi per il lavoro e dei cittadini.





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martedì, maggio 29, 2018

Agenzie per il Lavoro: pubblicato il decreto ministeriale che definisce i requisiti di idoneità di locali e competenze funzionali all’autorizzazione


Il 22 Maggio 2018 è stato pubblicato il Decreto del Ministero del Lavoro 10 aprile 2018 che definisce i requisiti di idoneità dei locali e delle competenze professionali necessarie all’iscrizione all’albo delle agenzie per il lavoro, in attuazione dell’ articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 276 del 2003 (c.d. Legge Biagi).
Il decreto del Ministero del Lavoro, abrogando il precedente del 5 maggio 2004, definisce i criteri relativi alla disponibilità di uffici in locali idonei e di adeguate competenze professionali: requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo delle agenzie per il lavoro.
Quanto alle competenze professionali, l’art. 1 del decreto ministeriale dispone che le agenzie per il lavoro devono avere personale qualificato, secondo le seguenti modalità:

·       per le Agenzie di somministrazione di lavoro e per le agenzie di intermediazione:

o   almeno quattro unità nella sede principale;
o   almeno due unità per ogni unità organizzativa;
o   per ogni unità organizzativa va indicato un responsabile, anche con funzioni di operatore;

·       per le Agenzie di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale:

o   almeno due unità nella sede principale;
o   almeno una unità per ogni eventuale unità organizzativa periferica;
o   per ogni unità organizzativa va indicato un responsabile, anche con funzioni di operatore.

Il decreto definisce “personale qualificato” quello dotato di adeguate  competenze  professionali, che  possono  derivare, in via alternativa, da un'esperienza professionale di durata non inferiore a due anni acquisita in qualità di dirigente, quadro, funzionario o professionista, nel campo della gestione o della ricerca e selezione del personale, della somministrazione di lavoro, della ricollocazione professionale, dei servizi per l'impiego, della formazione professionale, dell'orientamento, della mediazione tra domanda e offerta di lavoro o nel campo delle relazioni industriali. L'iscrizione all'albo dei consulenti del lavoro da almeno due anni costituisce titolo  idoneo alternativo all'esperienza professionale.

Ai fini dell'acquisizione dell'esperienza professionale di minimo due anni si tiene conto anche dei percorsi formativi di durata non inferiore ad un anno certificati da regioni e province autonome.

Quanto ai locali per l'esercizio dell’attività, le agenzie per il lavoro devono essere in possesso di locali e attrezzature d'ufficio, informatiche e collegamenti telematici idonei allo svolgimento dell’attività.

In particolare i locali adibiti a sportello devono possedere i seguenti requisiti:

·       conformità alla disciplina urbanistica-edilizia vigente;
·       conformità alle norme in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro;
·       conformità alle norme in materia di barriere architettoniche e accessibilità e visitabilita' per i disabili;
·       dotazione, nelle sedi, di attrezzature, spazi e materiali idonei allo svolgimento delle attività, in coerenza con il servizio effettuato;
·       presenza di un responsabile anche con funzioni di operatore;
·       indicazione visibile all'esterno dei locali dell'orario di apertura al pubblico;
·       indicazione visibile all'interno dei locali dei seguenti elementi informativi

o   gli estremi del provvedimento di accreditamento e i servizi per il lavoro erogabili;
o   il nominativo del responsabile dell’unità organizzativa.

Per lo svolgimento delle attività di somministrazione e intermediazione è richiesta la presenza di almeno sei sedi operative adibite a sportello in almeno quattro regioni sul  territorio nazionale.

I locali adibiti a sportello per lo svolgimento delle attività autorizzate alla somministrazione e intermediazione devono possedere inoltre:

·       garanzia di una fascia di venti ore settimanali minime di apertura degli sportelli al pubblico;
·       presenza di almeno due operatori per ogni sede operativa.

Il decreto ministeriale ha disposto che le agenzie per il lavoro già autorizzate allo svolgimento delle relative attività dovranno adeguarsi alle novità introdotte dal decreto entro un anno dalla sua entrata in vigore.




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lunedì, maggio 21, 2018

Corte di Cassazione: obblighi di informazione e formazione del lavoratore somministrato


La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 11170 del 9 maggio 2018,  ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla responsabilità che deriva dagli obblighi di informazione e formazione sulla sicurezza nei confronti del lavoratore somministrato.

Nel caso della somministrazione di lavoro, in base a quanto stabilito dal c.d. codice dei contratti del Jobs Act (art. 35 del d.lgs. n. 81/2015), gli obblighi di informazione e formazione possono essere oggetto di specifica traslazione dal somministratore all'utilizzatore con una espressa pattuizione tra le parti che, di conseguenza, deve essere indicata nel contratto individuale di lavoro del lavoratore somministrato.

La Suprema Corte ha dunque affermato che l’azienda utilizzatrice debba rispondere per il mancato rispetto delle obbligazioni in materia di sicurezza, a seguito delle quali si verifichi l’infortunio del lavoratore somministrato, qualora il somministratore abbia trasferito in capo all’utilizzatore gli obblighi riguardanti la formazione  e l’informazione sui rischi della lavorazione.

La pronuncia richiama anche l'art 3, comma 5 del D.lgs. n. 81/2008, dispositivo delle misure in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, in base al quale "nell’ipotesi di prestatori di lavoro nell'ambito di un contratto di somministrazione di lavoro (…) tutti gli obblighi di prevenzione e protezione di cui al presente decreto sono a carico dell'utilizzatore".

Dall'assetto normativo così delineato consegue quindi un riparto di responsabilità che fa convergere sull'utilizzatore la responsabilità relativa agli obblighi di prevenzione e protezione e sul somministratore quella derivante dall'obbligo di informare e formare il lavoratore, nel caso in cui non sia delegata all’utilizzatore.

Tale possibilità di delegare gli obblighi di formativi, afferma la Corte, risponde ad una logica di effettività delle tutele poiché sposta sul soggetto direttamente presente nel luogo di lavoro e diretto conoscitore delle lavorazioni e, gli obblighi di puntuale e diretta formazione e informazione del lavoratore.




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venerdì, maggio 11, 2018

Permesso di soggiorno per motivi familiari: è ammissibile lo svolgimento di attività lavorativa nelle more del rilascio


Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato una nota congiunta con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro all’interno della quale si forniscono alcuni chiarimenti in merito alla possibilità per i  cittadini stranieri  di svolgere attività lavorativa nell’attesa del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il permesso di soggiorno rilasciato per motivi familiari consente al cittadino straniero di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo sul territorio italiano fino alla scadenza dello stesso e senza la necessità di convertirlo in permesso per lavoro subordinato.

Il Ministro del Lavoro ripercorre la disciplina applicata alle richieste di permesso per lavoro subordinato, per cui,  ai sensi dell’art. 5, comma 9-bis del testo unico sull’immigrazione (D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) il soggetto che richiede il permesso per lavoro subordinato può  svolgere temporaneamente l’attività lavorativa per la quale è stato autorizzato il suo ingresso nelle more del suo rilascio o del rinnovo, a condizione che:

·       la domanda di rilascio sia stata presentata entro 8 giorni dall’ingresso sul territorio italiano all’atto della stipula del contratto di soggiorno presso lo Sportello unico per l’immigrazione oppure, in caso di rinnovo, prima della scadenza del permesso;

·       il richiedente sia in possesso del modulo di richiesta del permesso di soggiorno e della ricevuta rilasciata dal competente ufficio attestante la presentazione della domanda.

Tale disposizione non viene espressamente ribadita anche per i richiedenti permesso di soggiorno per motivi familiari.

La nota del Ministero del Lavoro, nel ribadire che il permesso di soggiorno per motivi familiari consente allo straniero di svolgere attività lavorativa senza la necessità di  ottenere anche un permesso per lavoro subordinato, afferma che può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 5, comma 9-bis sopra richiamata.

Pertanto, i soggetti richiedenti permesso di soggiorno per motivi familiari possono iniziare a svolgere attività lavorativa a condizione che siano in possesso della ricevuta postale attestante la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.


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giovedì, aprile 26, 2018

Attività di vigilanza sui tirocini extracurriculari: pubblicate le indicazioni l’Ispettorato Nazionale del Lavoro


Con la circolare n. 8 del 18 aprile 2018, l’Ispettorato Nazionale del lavoro ha fornito istruzioni utili al corretto inquadramento dei tirocini extracurriculari, anche in tema di sanzioni applicabili in caso di violazioni delle disposizioni che regolano l’istituto.

La circolare ha chiarito che in caso di accertamento di violazioni delle disposizioni regionali o in caso di mancanza dei requisiti propri dell’istituto formativo, il personale ispettivo potrà ricondurre il tirocinio ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, forma comune di rapporto di lavoro ai sensi dell’Art. 1 del D.lgs. n. 81/2015 (il c.d. codice dei contratti del Jobs Act).

Lo scopo dell’attività ispettiva sui tirocini è infatti quello di verificare la genuinità del tirocinio e cioè che il tirocinante sia presente in azienda per una effettiva finalità formativa, e non lavorativa. Tutto ciò al fine di evitare che un’azienda ospiti tirocinanti in modo sistematico oppure che ospiti un numero di tirocinanti elevato rispetto ai limiti di inserimento previsti dalla normativa regionale.

Le violazioni riscontrabili

L’Ispettorato ha fornito un elenco a titolo esemplificativo, delle possibili ipotesi di violazione che si riporta di seguito.

·              Tirocinio attivato in relazione ad attività lavorative per le quali non sia necessario un periodo formativo, in quanto attività del tutto elementari e ripetitive.
·              Tirocinio attivato con un soggetto che non rientra nelle casistiche indicate dalla legge regionale.
·              Tirocinio di durata inferiore al limite minimo stabilito dalla legge regionale.
·              Tirocinio attivato da soggetto promotore che non possiede i requisiti previsti dalla legge
regionale.
·              Totale assenza di convezione tra soggetto ospitante e soggetto promotore.
·              Totale assenza di PFI.
·              Coincidenza tra soggetto promotore e soggetto ospitante.
·              Tirocinio attivato per sostituire lavoratori subordinati nei periodi di picco delle attività e personale in malattia, maternità o ferie;
·              Tirocinio attivato per sopperire ad esigenze organizzative del soggetto ospitante.
·              Tirocinio attivato con un soggetto che abbia avuto un rapporto di lavoro subordinato o una collaborazione coordinata e continuativa con il soggetto ospitante negli ultimi due anni.
·              Tirocinio attivato con un soggetto con il quale è intercorso un precedente rapporto di tirocinio,
·              fatte salve eventuali proroghe o rinnovi nel rispetto della durata massima prevista dalla legge
·              regionale.
·              Tirocinio attivato in eccedenza rispetto al numero massimo consentito ex lege.
·              Impiego del tirocinante per un numero di ore superiore rispetto a quello indicato nel PFI in modo continuativo e sistematico durante l’arco temporale di svolgimento del rapporto.
·              Difformità tra quanto previsto dal PFI in termini di attività previste come oggetto del tirocinio e
·              quanto effettivamente svolto dal tirocinante presso il soggetto ospitante;
·              Corresponsione significativa e non episodica di somme ulteriori rispetto a quanto previsto nel PFI.

Tra i comportamenti sanzionabili la “gestione” del tirocinante assimilata a quella di un lavoratore dipendente dell’azienda ospitante può essere riscontrata in due modi:

1)  Gestione presenze, richieste ferie ed organizzazione orario esattamente come strutturato per i dipendenti.
2)  Organizzazione del processo produttivo tenendo conto anche del tirocinante. Ad esempio, se per raggiungere un obiettivo (o completare un processo produttivo) venga stimato il lavoro di 6 persone, l’”assimilazione” al lavoro dipendente sarebbe riscontrata nel caso in cui l’azienda faccia affidamento sull’apporto di 5 dipendenti e di un tirocinante.

Le  linee  guida  del  2017  hanno  previsto  la  possibilità  di  recepire all’interno della normativa regionale   uno  specifico  apparato n sanzionatorio in funzione della sanabilità o meno delle violazioni in materia di tirocini. Nel caso in cui l’Ispettorato riscontri una o più violazioni, segnalerà al  competente  ufficio regionale l’applicazione del relativo provvedimento.


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lunedì, aprile 16, 2018

Contributo per i servizi di baby-sitting e i servizi all’infanzia: pubblicati i chiarimenti dell’INPS


Con il messaggio n. 1428 del 30 Marzo 2018 l’INPS ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla previsione introdotta dalla c.d. legge Fornero (arti. 4, comma 24, lett. b),  della  legge  n.  92/2012) circa la possibilità , per la lavoratrice madre, di richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting oppure un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati.
A partire dal 2018 il  voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting è stato rinominato “contributo per l’acquisto di servizi di baby-sitting” e viene erogato secondo le modalità previste per il “Libretto Famiglia”.

Possono accedere al beneficio le seguenti categorie di lavoratrici:
·        le lavoratrici dipendenti di amministrazioni pubbliche o di privati datori di lavoro;
·        le lavoratrici iscritte alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che si trovino, al momento della presentazione della domanda, ancora all’interno degli 11 mesi successivi alla conclusione del teorico periodo di indennità di maternità e non abbiano fruito ancora di tutto il periodo di congedo parentale;
·        le lavoratrici autonome o imprenditrici che abbiano concluso il teorico periodo di fruizione dell’indennità di maternità e per le quali non sia decorso 1 anno dalla nascita o dall’ingresso in famiglia (nei casi di adozione e affidamento) del minore e che non abbiano fruito ancora di tutto il periodo di congedo parentale.
Il beneficio consiste in due forme di contributo, alternative tra loro:
1. contributo per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati;
2. contributo per l’acquisto di servizi di baby-sitting erogato secondo le modalità del “Libretto Famiglia”.
Il contributo è pari a 600 euro mensili ed è erogato per un periodo massimo di sei mesi (tre mesi per le lavoratrici autonome), in alternativa alla fruizione del congedo parentale, comportando, di conseguenza, la rinuncia allo stesso da parte della lavoratrice.

L’INPS rammenta che, al fine di determinare i mesi di congedo parentale ancora spettanti, occorre considerare i limiti individuali e complessivi dei genitori. Pertanto, anche ai fini della fruizione del contributo in oggetto, è necessario tenere conto dei periodi di congedo parentale fruiti dal padre del minore.


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mercoledì, aprile 04, 2018

Appalto o somministrazione di lavoro? Il Consiglio di Stato ribadisce gli elementi di distinzione


Con la Sentenza n. 1571 del 12 marzo 2018 il Consiglio di Stato è intervenuto in tema di appalto di servizi e somministrazione di lavoro fornendo alcuni chiarimenti utili al giusto inquadramento delle diverse tipologie contrattuali.

La sentenza trae origine dal bando pubblicato da una ASL, in cui veniva indetta la procedura per l’appalto di alcuni servizi, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Una agenzia per il lavoro impugnava gli atti di gara sostenendo che la procedura avviata dalla ASL fosse stata erroneamente impostata come “appalto di servizi”, avendo  in realtà ad oggetto mera somministrazione di personale, attività che per legge è riservata alle Agenzie per il Lavoro munite di autorizzazione del Ministero del Lavoro ed iscritte in un apposito Albo.

In primo grado il Tar Lazio respingeva il ricorso, affermando che la fattispecie esaminata fosse configurabile come genuino appalto di servizi.

L’agenzia per il lavoro proponeva quindi appello nei confronti della sentenza del TAR ed interveniva “ad adiuvandum” Assolavoro, l’Associazione Nazionale di Categoria delle Agenzie per il Lavoro. Tale tipologia di intervento, chiarisce il Consiglio di Stato, è legittimato da un lato nella lesione dello scopo istituzionale associativo della questione e dall’altro, nell’interesse comune alle agenzie per il lavoro associate che, attraverso l’intervento in giudizio, Assolavoro ha fatto valere.

La sentenza del Consiglio di Stato ha “ribaltato” la pronuncia del TAR accogliendo il ricorso e dichiarando il carattere fittizio dell’appalto impugnato. Ed infatti i contenuti del contratto esaminato “smentivano” la qualificazione giuridica di appalto, assegnata dall’ASL, poiché conducevano alla somministrazione di lavoro.

Il Consiglio di Stato ha fornito inoltre indicazioni specifiche sui tratti distintivi dell’istituto, ribadendo che gli elementi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e lo differenziano dalla  somministrazione di lavoro, consistono nell'assunzione da parte dell’appaltatore:

·       del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta;

·       del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa;

·       del rischio di impresa.

Tali elementi di distinzione si compendiano nel fatto che attraverso il contratto di appalto una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro (obbligazione di risultato) mentre, nel contratto di somministrazione, l’agenzia invia in missione dei lavoratori che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore  (obbligazione di mezzi).

La sentenza ha richiamato anche gli indici sintomatici della non genuinità dell’appalto, che in realtà dissimulano somministrazione di lavoro, già affermati in precedenza dalla Corte di Cassazione. Tali indici di non genuinità dell’appalto sono:

·       la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro;

·       l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente;

·  l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente;

·    la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività;

·       l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore;

Il Consiglio di Stato ha affermato anche che nei casi di affiancamento di personale l’indice sintomatico dell’appalto si può trovare analizzando le modalità di coordinamento tra le imprese interessate: l’appalto sarà “genuino” laddove siano nettamente escluse  commistioni, interferenze o sovrapposizioni tra le due realtà organizzative.


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