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giovedì, gennaio 29, 2015

Jobs Act, c’è il rischio incostituzionalità?



Carinci: «Non estendere le norme anche al pubblico solleva dubbi, ma la vera contraddizione è che la riforma mantiene inalterate le tutele per chi è già assunto creando una nuova segmentazione del mercato del lavoro»

La scelta di non estendere le nuove norme sul licenziamento anche ai lavoratori pubblici e a chi è già assunto ha suscitato polemiche e dubbi: questo trattamento differenziato viola la Costituzione? Synforma lo ha chiesto a Maria Teresa Carinci, giurista e docente di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano

L’approvazione dei primi decreti legati al Jobs Act ha sollevato perplessità sulla legittimità costituzionale della riforma del mercato del lavoro firmata dal governo Renzi. La scelta di non estendere le nuove norme ai tre milioni e mezzo di dipendenti statali può creare una disparità di trattamento che confligge con il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione (articolo 3)? E ancora, prevedere che il contratto unico a tutele crescenti si applichi solo ai neoassunti rischia di generare un nuovo “apartheid” tra vecchi e giovani? Abbiamo chiesto un parere alla giurista Maria Teresa Carinci, docente di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano.



Professoressa Carinci, c’è chi solleva dubbi sulla legittimità costituzionale del Jobs Act, in particolare del fatto che le nuove norme valgano soltanto per i lavoratori del settore privato. Condivide queste perplessità?
Il primo dato da considerare è che la riforma non parla espressamente di dipendenti pubblici. La legge del 2001 della cosiddetta “privatizzazione del lavoro pubblico” contiene una norma che estende ai lavoratori pubblici le discipline previste per i lavoratori privati, a meno che le leggi e i decreti delegati non specifichino espressamente che le norme si applicano solo ai lavoratori del settore privato.
Però, nel decreto che introduce la nuova disciplina relativa al licenziamento illegittimo, questa distinzione non è espressa. In sintesi, pubblico e privato sono stati sostanzialmente unificati, salvo in casi particolari che richiedono una disciplina specifica, come l’accesso al lavoro attraverso concorso pubblico. Dal momento che questa parificazione è prevista, per quale motivo i dipendenti pubblici devono essere tutelati più dei dipendenti privati? Questo aspetto solleva effettivamente dei dubbi di legittimità costituzionale.
A mio parere ciò che è previsto per i dipendenti privati doveva essere esteso anche a quelli pubblici. I giuristi che invece “difendono” la costituzionalità di questa norma fanno notare che all’articolo 1 del decreto approvato dal governo è scritto che la nuova tutela nel caso di licenziamento si applica ai “lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri” e che questa definizione è un tentativo di escludere i dipendenti pubblici. Infatti al pubblico impiego non è esteso l'articolo 2095 cc che appunto classifica i lavoratori in operai, impiegati e quadri. In ogni caso, è possibile che su questa materia la palla passerà alla magistratura.

C’è chi ha parlato di possibile violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione anche riguardo alla norma che prevede che il contratto a tutele crescenti si applica solo ai nuovi assunti. Qual è la sua posizione in merito?
Prevedere il nuovo regime più leggero solo per i neoassunti non presenta, a mio avviso, problemi di costituzionalità. È evidente che una legge regola solo i nuovi casi. Anche una recente sentenza della Corte costituzionale in materia di responsabilità solidale negli appalti che va in questa direzione. Ma sull’introduzione del contratto a tutele crescenti solleverei comunque un paio di obiezioni, che non hanno a che fare con la legittimità costituzionale.

Quali?
La prima domanda che mi pongo è: qual è la ratio della riforma? Nella legge delega è scritto che l’obiettivo del Jobs Act è rafforzare le opportunità di lavoro di chi è in cerca: se noi facciamo valere le nuove norme solo per i neoassunti e manteniamo uno zoccolo di forza lavoro occupata secondo le regole vigenti - i cosiddetti insider inamobivili - non favoriamo l’ingresso degli outsider. E dato che è escluso che la riforma in sé possa creare posti di lavoro è legittimo avere dubbi sul fatto che questa misura sia conforme alla volontà di fluidificare il mercato del lavoro. C’è chi ha detto che in questo modo una effettiva fluidificazione si possa avere solo nel giro di dieci anni.

Qual è la sua seconda obiezione?

Un altro scopo della riforma è eliminare il dualismo del mercato del lavoro tra chi è occupato a tempo pieno e chi invece va avanti con i contratti precari, in particolare i giovani. Tuttavia, a ben vedere, questa riforma segmenta nuovamente il mercato del lavoro. I nuovi assunti saranno prevalente giovani. Invece di essere assunti con altri contratti, saranno occupati tutti con il contratto a tutele crescenti, che è meno tutelato. La precarietà viene superata solo fino a un certo punto. Si tratta certamente di un contratto a tempo indeterminato ma è più blando, più flessibile.

Secondo lei è possibile che la Corte costituzionale, se venisse sollevata la questione di costituzionalità per alcuni aspetti del Jobs Act, si pronunci contro la riforma e li giudichi incostituzionali?
Credo che nessuno di questi profili verrà accolto dalla Corte: la riforma ha un notevole peso politico, a livello nazionale e a livello europeo. Non credo che la Consulta ne vorrà pregiudicare l'impatto.


venerdì, gennaio 23, 2015

Assenteismo, perché è un guaio da debellare quanto prima



Lo sciopero “sospetto” degli 835 vigili su 1000 a Roma durante la notte di Capodanno ha riacceso la polemica sulla tendenza dei lavoratori del pubblico impiego ad assentarsi indebitamente. A rincarare la dose sono arrivati anche i dati di alcune associazioni imprenditoriali tra cui Confindustria, secondo cui si potrebbero risparmiare 3,7 miliardi di euro se il livello di assenze del settore pubblico raggiungesse quello, più basso, del privato. Ma il vero problema dell’assenteismo nella Pa non risiede tanto nello spreco di denaro quanto nel fatto che questa prassi contribuisce ad alimentare lo sprezzo delle regole tra i cittadini

Il casus belli è nato la notte di Capodanno. A Roma, 835 vigili urbani su 1000 si sono dati malati in massa. Hanno scelto di astenersi dal lavoro nonostante il turno del 31 dicembre fosse pagato quattro volte un turno. Poco prima di segnarsi in malattia, e/o in permesso per donare il sangue, gli agenti hanno tentato di convocare un’assemblea sindacale per questioni contrattuali. 

Che fosse o meno fondato il motivo della assenza-protesta, il risultato è che a vegliare sulla Capitale durante la notte del 31 dicembre 2014 c’erano solo 165 vigili su 1000. Vista così, a tutto si poteva pensare fuorché a un’alternativa allo sciopero. Questo almeno ha percepito l’opinione pubblica, a giudicare dai commenti infuocati che la notizia ha suscitato su online su vari siti di informazione.
Il caso, naturalmente, non è passato inosservato neanche ai rappresentanti delle istituzioni. Il premier Matteo Renzi ha subito annunciato un giro di vite sul settore pubblico: “Nel 2015 cambiamo le regole del pubblico impiego″, ha twittato. 

A ruota il ministro per la Pa, Marianna Madia, che ha sollecitato accertamenti e azioni disciplinari contro eventuali violazioni. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha dato avvio a un’inchiesta interna per verificare possibili “assenze ingiustificate”. Il Garante ha aperto un’indagine per sospetto sciopero selvaggio. L’Inps si è proposta per fare i controlli al posto delle Asl. 

I sindacati, con l’eccezione della Uil locale (“La maggior parte dei vigili ha donato il sangue: per questo erano esentati dal servizio”), hanno condannato l’accaduto, schierandosi, come la Cgil nazionale, “con chi è andato a lavorare”. 

Una storia isolata? Macché. Sempre a Roma, intorno alla mezzanotte, alcune linee metropolitane hanno avuto dei ritardi perché su 24 macchinisti necessari a coprire lo straordinario, solo 7 hanno comunicato la loro disponibilità. E come se l’assenteismo fosse un vero e proprio virus, anche a Napoli, nell’ultima notte dell’anno, 200 netturbini si sono messi in malattia.

A prescindere dalle ragioni che hanno spinto questi lavoratori ad assentarsi, gli episodi sono una conferma indiretta dei dati sull’assenteismo appena diffusi da diverse organizzazioni. Secondo il Centro studi di Confindustria, i lavoratori pubblici hanno fatto registrare 19 giorni di assenze in media all’anno, sei in più dei dipendenti delle aziende private associate all’organizzazione di Viale dell’Astronomia. 

Ma la stima che colpisce di più riguarda il risparmio che si potrebbe ottenere portando il livello dell’assenteismo della Pa al livello di quello del settore privato: oltre 3,7 miliardi di euro. Ci sarebbe minore necessità di personale e questo permetterebbe di spendere meno denaro dei contribuenti. Inoltre, a parità di costi, secondo il Centro studi di Confindustria, “un minore assenteismo aumenterebbe l’efficienza e la qualità dei servizi”.

Un po’ differenti sono i dati forniti dalla Cgia di Mestre negli stessi giorni. L’associazione imprenditoriale veneta è particolarmente abile nel diffondere con frequenza quasi quotidiana numeri sulla crisi che fanno il gioco dei media a caccia di titoli. Quindi, per quanto veritieri, vanno sempre presi con le pinze. 

Fatta questa premessa, passiamo ai dati: secondo la Cgia, i lavoratori del settore privato fanno in media più assenze di quelli del pubblico (18,3 contro 17,1 giorni all’anno, sia nel 2013 che nel 2012). Nel pubblico impiego però ci sono molte più assenze-lampo (quelle cioè che vengono indennizzate): una su quattro dura un giorno solo. Nel privato, invece, sono l’11,9% sul totale. C’è il sospetto che le assenze brevi, in quanto pagate, nascondano forme di assenteismo. Sul banco degli imputati, quindi, tornano i lavoratori del pubblico impiego.

Di riflessioni sull’assenteismo nel pubblico se ne fanno da sempre. C’è chi lo ritiene un prodotto quasi inevitabile delle tutele di cui godono i lavoratori della Pa. Siccome è più complicato licenziare chi lavora per la pubblica amministrazione, i dipendenti tendono ad approfittarne assentandosi con maggiore frequenza. Chi difende con più ostinazione la professionalità – certamente presente a tutti i livelli – di chi lavora per lo Stato e per gli enti pubblici tende a presentare la situazione come un mero cliché o, in ogni caso, come un problema non prioritario. I guai, insomma, sarebbero “ben altri”.

E invece il guaio dell’assenteismo nella Pubblica amministrazione è uno dei più gravi del Paese. Non tanto per i 3,7 miliardi che si possono risparmiare secondo Confindustria. Il motivo per cui andrebbe considerato una piaga da curare prima possibile, anche con le maniere forti, è probabilmente più sottile. Ha a che fare con il modo in cui i cittadini si autorappresentano e con le ragioni che li spingono a infrangere le regole. 

Non ci sono molti metodi per convincere un cittadino ad agire nel rispetto delle norme. Uno dei più efficaci è vedere che l’istituzione che ti chiede di ottemperare a delle leggi – lo Stato – è la prima a rispettarle. Viceversa, se chi introduce le norme non le segue, nei cittadini si innesca un meccanismo autoassolutorio per cui può capitare che anche la corruzione e l’evasione fiscale diventino prassi di cui non sentirsi più di tanto in colpa.

Estremizzando, basta un dipendente pubblico scoperto ad assentarsi in modo fraudolento per far sentire in pace con se stesso un italiano che decide di non pagare le tasse nella misura dovuta. E il circolo vizioso non si chiude mai.

venerdì, gennaio 16, 2015

Disoccupazione giovanile al 43,9%, mai così alta. Più di un giovane su dieci è senza lavoro



Gli ultimi dati provvisori Istat restituiscono un quadro sempre più allarmante per quanto riguarda la situazione dell’occupazione in Italia. A novembre 2014, il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è arrivato al 43,9%, il livello più elevato da quando esistono le serie storiche (1997). Il tasso di disoccupazione generale ha raggiunto il 13,4%: i senza lavoro sono 3 milioni e 457 mila. Cala il numero di occupati (22 milioni e 310 mila, - 48 mila rispetto al mese precedente) e il tasso di occupazione, pari al 55,5%.
Sale, sale, sale. E sembra che non ci sia nulla in grado di fermarlo. Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è aumentato ancora. A novembre 2014 ha raggiunto il 43,9%, 0,6 punti percentuali in più rispetto al mese precedente e 2,4 punti in più rispetto al novembre 2013.  A rilevarlo è l’Istat nelle stime provvisorie. Si tratta della percentuale di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni più alta dall’inizio delle serie storiche, cioè dal 1977, e da quello delle serie mensili (2004).
È un contesto in cui anche la disoccupazione generale fa registrare dati allarmanti. Il numero di disoccupati è pari a 3 milioni e 457 mila, l'1,2% rispetto al mese precedente (40 mila unità in più) e l’8,3% in più rispetto al novembre 2013 (264 mila in più). Il tasso di disoccupazione è pari al 13,4% (+0,2% rispetto a ottobre e +0,9% su base annua).

In questo quadro, gli under 25 che non riescono a trovare lavoro sono 729 mila, con un’incidenza del 12,2% rispetto alla loro fascia d’età, in lieve aumento rispetto al mese precedente (+0,3%) e in crescita di 1,1 punti percentuali sui dodici mesi.

Un giovane su dieci è disoccupato, quindi. Come precisa l’Istat, il tasso di disoccupazione giovanile è calcolato come la quota di giovani senza lavoro sul totale di chi lavora o è in cerca (gli attivi). Non è corretto pertanto dire, come spesso accade, che due under 25 su cinque sono disoccupati.
Il numero di giovani inattivi è pari a 4 milioni 304 mila, in calo dello 0,5% rispetto al mese precedente (-22 mila) e del 2,1% nei dodici mesi (-93 mila). Il tasso di inattività della fascia 15-24 anni è pari al 72,1%, diminuisce di 0,3 punti percentuali nell’ultimo mese e di 1,1 punti rispetto al 2013.

Se invece si fa riferimento agli inattivi tra i 15 e i 64 anni, il numero cala dello 0,1 rispetto a ottobre e del 2,2% rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività, pari al 35,7%, rimane invariato rispetto al mese precedente e scende di 0,7 punti su base annua.
La situazione non è serena neanche per quanto riguarda il tasso di occupazione, che è pari al 55,5%, scende di 0,1% rispetto al mese precedente e resta invariato rispetto a dodici mesi prima. A novembre gli occupati erano 22 milioni 310 mila, 48 mila in meno rispetto a ottobre (-0,2%) e 42 mila rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-0,2%).

Le cifre diventano sempre più marcate. Così nette che a volte rischiano di non fare neanche effetto su chi le osserva. Di mese in mese, salvo alcune eccezioni, il quadro peggiora anziché migliorare. A volte, per trovare delle statistiche incoraggianti, è necessario forzare la lettura dei numeri mettendo in evidenza solo i dati positivi. In questo caso, nessun gioco di prestigio. Nessuna illusione ottica. La situazione del lavoro in Italia sembra la più cupa degli ultimi anni.

lunedì, gennaio 12, 2015

Annunci di lavori ben pagati in Francia targati Synergie? Occhio alla truffa



Nel mese di dicembre Synergie Italia ha ricevuto centinaia di segnalazioni di annunci di lavoro online sul portale bakeca.it in cui venivano offerte posizioni lavorative in Francia. Agli annunci seguivano mail in cui si chiedeva ai candidati di inviare somme di denaro tra 90 e 150 euro a una persona che si autodefiniva collaboratore di Synergie per andare a Parigi e sostenere un colloquio preliminare. Si trattava di un’operazione di cui Synergie era totalmente all’oscuro e che ha raggirato una decina di persone che hanno effettuato il pagamento richiesto. Se queste offerte dovessero ripresentarsi, segnalatecele e non cadete nella trappola

A leggerli, sembravano normali annunci di lavoro online. Offrivano posizioni nell’ambito dei servizi. Prevedevano un luogo di lavoro identificabile. E promettevano anche ottimi compensi. Peccato che si trattava di una serie di potenziali truffe che ha avuto come destinatari centinaia di candidati italiani e che ha coinvolto il nome di Synergie, soggetto completamente estraneo a questa vicenda.

Vediamo più nel dettaglio in cosa è consistito il raggiro per evitare che altri possano cascare nella trappola.
Dai primi giorni del mese di dicembre 2014 fino alla vigilia di Natale, Synergie Italia ha ricevuto un centinaio di segnalazioni da parte di persone che avevano letto alcuni annunci di lavoro pubblicati sul sito bakeca.it che riguardavano impieghi di vario genere, soprattutto nel settore dei servizi (autotrasportatori, guardie armate, addetti agli skipass, addetti alla logistica). Il luogo di lavoro, per tutte le posizioni offerte, era la Francia.

Gli annunci erano sostanzialmente anonimi. Non erano indicati cioè nomi o indirizzi mail da contattare. L’unica possibilità di comunicare con chi aveva pubblicato le offerte era quella di candidarsi, compilando con i propri dati un modulo presente sulla piattaforma online.

Le persone che hanno sottoposto la propria candidatura hanno ricevuto nel giro di qualche giorno una lunga e-mail che spiegava meglio in cosa consisteva la posizione offerta. Il mittente era tale signor Falbo, a suo dire collaboratore di Synergie S.A. (la casa madre di Synergie, in Francia), e nel testo dell’e-mail garantiva lauti stipendi per ciascuno degli impieghi proposti, menzionava diverse filiali di Synergie, e utilizzava parti intere delle presentazioni presenti sul sito internet di Synergie.

Era incluso anche un numero telefonico francese da chiamare per ulteriori informazioni. Fin qui, a una lettura disattenta poteva effettivamente sembrare il messaggio di una persona che lavorava nel ramo delle risorse umane.

L’ultima parte dell’e-mail però lasciava spazio a sospetti: era a questo punto del testo che si poteva fiutare la probabile truffa. Il mittente chiedeva infatti il pagamento di una cifra variabile tra 90 e 150 euro, da versare tramite bonifico con Western Union, per far fronte a non meglio precisate pratiche burocratiche.

Davanti alle segnalazioni di persone insospettite, alcuni membri del team di Synergie Italia si sono finti candidati per capire meglio il funzionamento del meccanismo. Una volta verificato che si trattava di un’operazione di cui Synergie – lo ripetiamo – era totalmente all’oscuro, hanno risposto tempestivamente alle richieste di informazioni dissuadendo tutti dal versare denaro. In più, hanno avvertito sulle pagine social e sul sito aziendale (www.synergie-italia.it/notizie/138-probabile-truffa) dell’esistenza di un possibile raggiro.

Chi non ha letto l’avviso e ha effettuato il pagamento – una decina di persone – ha ricevuto un contratto fasullo e un falso biglietto aereo per raggiungere Parigi in data 5 gennaio 2015 e sostenere un incontro preliminare all’avvio dell’attività lavorativa.

Il luogo fissato per i colloqui era una filiale Synergie di Parigi, dove gli impiegati non sapevano nulla delle posizioni offerte negli annunci ma erano stati avvertiti dell’inganno. Nonostante avesse verificato che il biglietto era finto, un candidato è andato comunque nella capitale francese a proprie spese per partecipare a questo fantomatico incontro. Sono stati proprio gli impiegati parigini a dire del tranello al malcapitato.

Invitiamo chi dovesse imbattersi in annunci di lavoro e in e-mail in cui il nome e il marchio Synergie Italia sono accostati a richieste di denaro e/o a pratiche sospette a non “abboccare” e a segnalare ogni incongruenza all’indirizzo e-mail selezione.web@synergie-italia.it Non fatevi truffare.