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mercoledì, dicembre 24, 2014

Garanzia Giovani, gli under 30 la bocciano: “Insufficiente”



Dai primi risultati parziali del monitoraggio informale lanciato da Repubblica degli Stagisti e Adapt emerge che i giovani italiani giudicano insoddisfacente l’iniziativa per aumentare l’occupabilità. La stragrande maggioranza delle valutazioni sta al di sotto del 6, con una netta maggioranza del voto “1” (oltre il 28%). Da segnalare l’età “alta” dei partecipanti: circa il 70% è nella fascia d’età 25-29 anni. I ragazzi segnalano spesso di aver ricevuto solo un generico riferimento a future offerte di lavoro o di stage (43,5%) e soltanto il 15,5% di chi ha sostenuto il primo colloquio è stato poi ricontattato dagli addetti dei servizi all'impiego per l'effettivo “trattamento”

Insufficiente. È questo il giudizio che i giovani italiani danno alla Garanzia Giovani fino a questo momento. Il responso arriva dai primi risultati parziali, elaborati sui primi 1.580 questionari ricevuti, del monitoraggio informale sulla Garanzia Giovani promosso da Repubblica degli Stagisti e Adapt.

Il sondaggio, online da metà ottobre, anonimo e tuttora attivo sul sito, permette agli under 30 di raccontare la propria esperienza diretta con il programma Ue per aumentare l’occupabilità dei giovani, ha raccolto al 10 dicembre (giorno in cui sono stati diffusi i primi risultati) le risposte di quasi 1.600 giovani
Il primo dato da segnalare è l’età dei partecipanti al monitoraggio: circa il 70% infatti è nella fascia d’età 25-29 anni. L’estensione del piano europeo dai 25 ai 29 anni è stata una richiesta del governo italiano: i risultati dimostrano che se l’accesso fosse stato limitato agli under 25 le criticità di Garanzia Giovani sarebbero state ancora maggiori, a riprova del fatto che in Italia i giovani entrano tardi nel mercato del lavoro e che non esiste una cinghia di trasmissione affidabile dalla scuola al lavoro.

Dalla Garanzia Giovani i ragazzi si aspettano almeno un’opportunità: molti (27%) dichiarano di aspettarsi di “trovare un lavoro”, fosse anche uno stage (34%). Esiste però un 14% di giovani “disillusi”, che ammettono di non avere grosse aspettative.

Quanto al completamento del processo, solo la metà degli iscritti (53,4%) dice di aver già svolto il primo colloquio: in questo, il sondaggio è in linea con i dati ministeriali. Chi l’ha effettuato ha atteso in media due mesi dalla registrazione.

Ciò che però non è rilevato dai risultati ministeriali è il contenuto degli incontri, che in molti casi è poco soddisfacente: molto spesso, i ragazzi segnalano di aver ricevuto solo un generico riferimento a future offerte di lavoro o di stage (43,5%) o di non aver ricevuto “nulla di concreto” (40%). Solo pochi (11%) affermano di essere soddisfatti delle informazioni ricevute durante il primo incontro di persona.
Ma l’effettiva presa in carico? È toccata solo a pochi partecipanti. Solamente il 15,5% di chi ha sostenuto il primo colloquio è stato poi ricontattato dagli addetti dei servizi all'impiego per l'effettivo “trattamento”. C'è dunque un 85% che resta per ora “congelato”, in attesa di qualche proposta concreta.
Probabilmente è questo il motivo per cui il giudizio che gli under 30 danno all'iniziativa è basso. Su una scala da uno a 10, solo un giovane su cinque ha dato la sufficienza, cioè un voto pari o superiore a 6. La stragrande maggioranza delle valutazioni sta invece al di sotto del 6, con una netta maggioranza del voto più basso: ha infatti dato “1” oltre il 28% dei partecipanti.
In ultimo, nel file che illustra nel dettaglio tutte le analisi dei dati, Repubblica degli Stagisti e Adapt riportano anche alcune testimonianze dei giovani iscritti al piano.

C’è un giovane del Lazio, per esempio, che descrive l’esperienza come “completamente fallimentare” in quanto durante il colloquio gli è stato comunicato che “pochissime aziende avevano posti disponibili”. Ma ci sono anche esperienze positive: un ragazzo del Veneto racconta di uno stage iniziato grazie a Garanzia Giovani mentre un’altra ragazza ha dovuto perfino rinunciare ad alcune offerte che erano giunte numerose.
Nei prossimi mesi la rilevazione proseguirà e soprattutto verranno ricontattati coloro che hanno sostenuto il sondaggio per verificare se l’iscrizione al programma ha portato o meno a risultati concreti in termini di occupabilità.

Il monitoraggio prevede infatti un nuovo contatto dopo due mesi dalla compilazione del primo questionario e un ultimo contatto dopo altri due mesi, dando quindi la possibilità ai partecipanti di dar conto dei progressi dell'iter di Garanzia Giovani nell'arco dei quattro mesi “garantiti” dal piano.

lunedì, dicembre 22, 2014

Daverio (giuslavorista, studio legale Daverio&Florio): «Il demansionamento introdotto dal Jobs Act? Funziona solo se lascia margini di libertà all’impresa. Anche di proporre al dipendente un compenso più basso»



Nella legge delega sul mercato del lavoro approvata dal Parlamento è previsto che sia più facile per l’imprenditore cambiare le mansioni a un lavoratore in casi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale. Ma c’è il rischio di abusi? Può essere efficace se obbliga l’azienda a non modificare il compenso? Alle domande di Synforma risponde l’avvocato Fabrizio Daverio, esperto di diritto del lavoro: «Se il cambio di mansione serve solo a evitare un licenziamento, allora la giurisprudenza attuale è già sufficiente. Non servono modifiche»


Nel Jobs Act è prevista un modifica delle norme relative al demansionamento dei lavoratori. Il Parlamento ha delegato il governo a regolamentare in modo nuovo questa materia permettendo ai datori di lavoro, nei casi di «riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale», di “abbassare” le mansioni dei propri dipendenti nell’ottica di un «utile impiego del personale».

Allo stesso tempo, la modifica dell’inquadramento di chi lavora deve avvenire – si legge nel testo della delega – nell’«interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche».

In sostanza, la riforma del mercato del lavoro dell’esecutivo consente alle aziende di ricorrere con più facilità al demansionamento come alternativa al licenziamento. Ma al contempo la legge sembra stabilire che la decisione deve essere presa senza danno economico per il lavoratore, ovvero mantenendo inalterato il compenso.

In attesa di sapere come verrà attuata la norma attraverso i decreti delegati, questa modifica ha suscitato non pochi dubbi. Da una parte, c’è chi teme che le aziende possano abusare di questa opzione per ridimensionare il costo del personale. Dall’altra, c’è chi sostiene che un intervento del genere non ha senso se si impone al datore di lavoro di mantenere inalterato il trattamento economico del lavoratore. Anche perché già è possibile, in determinati casi, ricorrere a questa possibilità per scongiurare l’interruzione di un rapporto di lavoro.

Abbiamo chiesto un parere sull’argomento all’avvocato Fabrizio Daverio, giuslavorista e socio fondatore dello studio legale Daverio&Florio.

Avvocato, cosa cambia con le nuove norme sul demansionamento?
È importante fare una premessa: il Jobs Act è una legge delega che attribuisce al governo la possibilità di emanare norme dettagliate sulla base di principi generali. Quindi, ogni considerazione puntuale può essere fatta solo davanti ai decreti legislativi che saranno emanati. Detto ciò, l’indicazione che dà la legge delega è molto generica. L’idea è di consentire un più flessibile cambio di mansioni in presenza di motivazioni particolari. In Italia, la norma sulla dequalificazione – l’articolo 2103 del codice civile – è troppo rigida: non si può cambiare di mansione un lavoratore se non dandogli un’altra di pari valore. La delega va invece in un’altra direzione: quella di consentire, in casi di riorganizzazione aziendale o in altre situazioni delicate, la modifica delle mansioni per scongiurare l’ipotesi peggiore, ovvero la risoluzione del rapporto di lavoro.

Però anche prima di questa norma si poteva derogare al divieto di demansionamento.
La norma vigente è rigorosissima e non consente alcuna deroga. È stata la giurisprudenza ad ammettere la deroga solo nei casi in cui si trattava di salvare il posto di lavoro. E  a condizione che il lavoratore fosse d’accordo.

A suo parere c’è il rischio che questa norma generi abusi da parte delle imprese?
Molto dipenderà dalla norma dettagliata emanata dal governo. Senza dubbio la norma potrebbe dare maggiore elasticità e flessibilità al datore di lavoro. Potrebbe consentire un cambio di mansione anche al di là del limite dell’equivalenza.

Però pare che sarà a parità di stipendio. Nel testo si legge «tutela delle condizioni di vita ed economiche»…
Faccio un esempio volutamente estremo. Se per esempio la posizione lavorativa di un quadro non fosse più disponibile per necessità organizzative e fosse disponibile solo la posizione di operaio, non avrebbe senso un quadro retribuito con il compenso da quadro ,a con una posizione da operaia. Il rischio che la norma perda di efficacia c’è. Secondo me bisogna lasciare la possibilità di negoziare il compenso al libero accordo delle parti, magari davanti alla direzione del lavoro o in sede sindacale. 


In sintesi, sempre basandosi sul testo della legge delega, la trova una novità positiva?
Se verrà applicata solo ai casi in cui si tratta di salvare i posti di lavoro allora è gia sufficiente la giurisprudenza che abbiamo. L’elemento di novità sarebbe molto scarso. Se invece consentirà anche maggiore flessibilità, a prescindere dai casi in cui si evita il licenziamento, e darà ampia liberta alle parti di modulare le intese a seconda dei casi senza escludere la rivisitazione del trattamento economico, allora sarà un ulteriore contributo di ammodernamento della normativa vigente.

giovedì, dicembre 18, 2014

Lavoro e maternità, la storia di Elena e di Periodofertile.it


Elena Crestanello, 38 anni, madre di due bambini, non riusciva a trovare un impiego stabile nonostante una laurea in biologia con 110 e lode. Durante i colloqui le dicevano: «Vuoi mettere su famiglia? Allora torni quando ha già dei figli». Così, il lavoro se l’è inventato. Proprio grazie al fatto di essere madre. Ha fondato Periodofertile.it, un sito dedicato ai temi della gravidanza e della maternità che totalizza 4,5 milioni di visite in media al mese.

«Ha in progetto di avere figli? Allora torni quando sarà diventata madre». Sono molte le donne che si sono sentite dire queste parole durante un colloquio di lavoro. Una di queste è Elena Crestanello, 38 anni di Thiene (Vicenza), che ora è mamma di due bambini.

Elena si è trovata in questa spiacevole situazione quando una decina di anni fa, da fresca laureata in scienze biologiche, ha sostenuto delle selezioni in alcune aziende farmaceutiche e non le ha passate non perché non fosse competente (sul suo curriculum c’era anche un brillante 110 e lode) ma perché voleva legittimamente avere dei figli.

Ma la discriminazione subita, alla lunga, è stata una delle molle che l’ha spinta a inventarsi un lavoro che le piace e le permette di mettere a frutto le sue conoscenze in campo scientifico: Elena infatti è la fondatrice di Periodofertile.it, un portale web sui temi della gravidanza e della maternità seguitissimo dalle mamme e dalle donne che vogliono avere figli. «Dal 2009 a oggi siamo passati da poche centinaia di visite a 4,5 milioni di visite al mese. In alcuni periodi dell’anno arriviamo anche a picchi di 5,5 milioni al mese», dice Elena.

Come è nato Periodofertile.it?
Una volta laureata, avevo davanti a me una scelta: intraprendere la carriera universitaria – avevo ricevuto anche qualche proposta – oppure sposarmi, mettere su famiglia e trovare lavoro in zona. Ho scelto la seconda ma nelle aziende non ho trovato niente, anche perché avevo in programma di diventare madre. Così ho iniziato a fare supplenze nelle scuole medie: insegnavo, tra le altre cose, informatica e già nove anni fa facevo fare ai ragazzi dei piccoli blog sulla piattaforma Wordpress dedicati alle loro passioni.  Tra una supplenza e l’altra ho cominciato un corso per diventare esperta in IT. Poi, in famiglia c’era mio marito, ingegnere delle telecomunicazioni, che aveva già capito vari anni fa che nel web c’erano tante opportunità di lavoro: io all’inizio non ne ero tanto convinta. Però, cominciai a creare i miei primi blog. E qualche anno dopo, quando ero incinta, decisi insieme a mio marito di creare Periodofertile.it: tuttora, lui si occupa della parte tecnica e io dei contenuti. È nato per passione: potevo sfruttare le mie competenze e restare in contatto con la ricerca.

Il sito è diventato subito la sua unica attività?
No, all’inizio insegnavo e gestivo il sito parallelamente. Nei primi periodi, tra l’altro, il portale non era così pieno di informazioni: c’erano il calcolatore dei periodi fertili e qualche articolo. Poi ho iniziato a informarmi sempre di più, e con la nascita del secondo bambino ho cominciato a scriverci di tutto. Quando mi sono accorta, con il tempo, che dedicavo al sito anche otto ore al giorno ho capito che dovevo fare una cosa o l’altra e monetizzare. Così, dal 2011 sono a tempo pieno su Periodofertile.it.


Quali sono i servizi più richiesti?

Il lavoro principale è rispondere alle domande poste dalle lettrici su problemi di fertilità, sulla gravidanza e sul primo periodo post parto. Molto forte, poi, è il lato community: ci sono molte mamme che si incontrano sul sito perché, come è giusto, non vogliono vivere la gravidanza in solitudine. E ancora, sono molto apprezzati i servizi di notifica sul cellulare per i vari momenti importanti: dai periodi fertili pre-gravidanza all’allattamento. In più, ci sono esperti – nutrizionisti, psicologi… – che rispondono gratuitamente alle domande delle lettrici. Non ci sostituiamo al medico ma forniamo un supporto prezioso.

Cosa rende diverso Periodofertile.it dai tanti siti e blog dedicati alle mamme?
Il taglio che ci differenzia è il fatto di aver creato un clima familiare, di rispondere personalmente alle domande, anche in privato nei forum, di moderare: il punto di forza è far sentire la presenza. Se una persona scrive deve avere una risposta. 

Come guadagna il blog?
Dalle entrate pubblicitarie. Collaboriamo con una concessionaria pubblicitaria, FattoreMamma, specializzata sull’ambito mamme e famiglia: sono loro a gestire la questione degli introiti pubblicitari. Ma ripeto, Periodofertile.it non è nato per fare soldi. Io mi porto a casa uno stipendio mensile ma non sono diventata ricca con questo sito. 

Intorno alle mamme è nato un grande business di siti sul web: perché? Quale bisogno hanno colmato?
Questi siti hanno colmato il bisogno che ogni donna ha di avere qualcuno che le ascolti. E allo stesso tempo, molte delle persone che li hanno creati, se non l’hanno fatto per passione come me, lo hanno fatto perché si è capito che nel mondo delle mamme ci sono aziende che investono. In ogni caso, serve competenza e trasparenza: non puoi parlare di questi temi come di un paio di scarpe o di una borsa. E se alcuni contenuti sono sponsorizzati dalle aziende e riguardano prodotti per l’infanzia, chi scrive deve metterlo in chiaro da subito.

Maternità e lavoro: da un osservatorio come Periodofertile.it cosa emerge?
Leggo spesso di donne che hanno paura di comunicare al proprio titolare la gravidanza. Altre vengono lasciate a casa oppure vengono sottoposte a cambi di mansione o a vero e proprio mobbing. Ancora, c’è chi torna a lavorare dopo tre mesi di vita del bambino non per questioni economiche ma semplicemente per conservare il lavoro. Tra i nostri esperti c’è un avvocato e sono molto frequenti le domande sui diritti connessi al lavoro. E non mi stupisco di vedere altre donne che fanno un percorso simile a quello che ho fatto io. Il lavoro scarseggia, si sa. E il fatto di non avere prospettive ti fa mettere in moto una serie di scelte.




venerdì, dicembre 05, 2014

L’intervista. Oscar Giannino: «Il Jobs Act contiene alcuni sforzi apprezzabili ma le risorse sul tavolo sono poche e molto dipende da come si concretizzerà nei decreti»


Intervista al giornalista di Radio24 e de Il Messaggero sulla riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Renzi e approvata, finora, alla Camera. «Mi piace l’energia del premier nel prevedere verifiche nel tempo e nello sfidare i sindacati. Ma l’abolizione del reintegro giudiziale nei licenziamenti economici potrebbe essere depotenziato dalle fattispecie dei disciplinari. E ci sono tematiche assenti o a cui si è prestata poca attenzione: le politiche attive per il lavoro, l’apprendistato, il Sud e il lavoro autonomo»

Giannino, cosa trova convincente del Jobs Act?

Mi è piaciuta l’energia con cui il presidente del Consiglio ha dichiarato che la riforma del mercato del lavoro è un cantiere che andrà avanti con puntuali verifiche nel tempo delle novità introdotte. E il controllo comincerà con la definizione dei decreti. D’altronde, a mio parere è sempre mancata una strumentazione pubblica che permettesse di verificare gli effetti dei pur frequentissimi interventi di innovazione legislativa. È necessario per permettere a tutti, e soprattutto alla politica, di capire che cosa ha determinato che cos’altro, che cosa ha fallito e che cosa si può cambiare senza fare innovazioni legislative. Se si arriva davvero a un codice unico semplificato del lavoro, allora questa riforma sarà davvero un’occasione colta.

Su LeoniBlog, parla però di “bicchiere mezzo vuoto”. Su quali aspetti ha i maggiori dubbi?
La mia non è una critica pregiudiziale: mi rendo conto delle difficoltà e do atto al premier di aver operato una sana rottura politica su diversi aspetti. Tuttavia, nel merito, ciò che vedo mi lascia motivatamente aperto alla necessità di giudizi successivi. Partiamo per esempio dall’intervento sull’articolo 18. Non ho mai pensato che fosse la leva per l’occupabilità. Non mi sfugge la dimensione mitico-politica e capisco l’energia del governo nel mettervi mano. Ma potrò capire che efficacia avrà quando ci sarà una determinazione specifica delle fattispecie del licenziamento discriminatorio. Maggiore è il dettaglio, più elevato è il rischio che un consulente dica “è discriminatorio: andiamo dal giudice”. Il passo avanti rispetto alla riforma Fornero di prevedere il solo indennizzo per il licenziamento economico individuale verrebbe in qualche modo depotenziato. Si rischia di far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Anche riguardo all’indennizzo ho delle riserve: finché non si vede come si calcola, sopra e sotto i 15 dipendenti, non sono in grado di capire fino a che punto è una misura utile.

Sono sufficienti le risorse messe sul tavolo?   
La questione delle risorse è uno dei principali punti aperti. Per esempio, un aspetto molto importante è il superamento della cassa integrazione attraverso l’Aspi. Ma finché l’Aspi continuerà ad avere meno risorse della cassa, imprese e sindacati continueranno a tenersi quella. Si parlava di risorse aggiuntive per questo ammortizzatore ma al momento, nel passaggio parlamentare, sembrano sparite.

E i tre miliardi di decontribuzione previsti per i primi tre anni per chi assume con il contratto unico a tutele crescenti?
Io ho sempre pensato che per ottenere una maggiore occupabilità in tempi brevi-medi le risorse vanno concentrate su occupazione aggiuntiva e non vanno date a tutti i nuovi contratti, compresi quelli che sostituiscono il tempo determinato con l’indeterminato. In genere, gli incentivi hanno più effetto se non dati a pioggia. Questi tre miliardi, quindi, li avrei visti meglio se fossero stati previsti solo per le nuove assunzioni. Anche dal punto di vista fiscale, sarebbe più sostenibile concentrare le risorse sull’occupazione aggiuntiva.

Come agisce a suo parere la riforma sulle politiche attive per il lavoro?
La questione delle politiche attive è fondamentale per l’occupabilità. È necessario passare da troppe politiche passive a più politiche attive. Ma in questa riforma ci sono grandi punti interrogativi. Per esempio, questa Agenzia nazionale per l’occupazione, rischia di essere null’altro che la somma degli uffici provinciali per il lavoro. Se resta tutto nelle mani del pubblico, si tratterà di un fallimento conclamato. Bisognerebbe fare qualcosa di analogo a ciò che si è fatto in Germania. L’agenzia centrale dovrebbe limitarsi a gestire l’accreditamento dei privati, soprattutto grandi soggetti e multinazionali, più bravi nell’intermediare la domanda e l’offerta di lavoro. D’altronde, l’esperienza finora fallimentare di Garanzia Giovani è una colossale riprova dell’impossibilita della macchina pubblica di gestire le politiche attive.  Inoltre, servirebbe anche che il Jobs Act sia accompagnato da una riforma della scuola, secondaria e terziaria, e con un’accelerazione sull’apprendistato. Il contratto di inserimento triennale funzionerà solo con un sistema scolastico più professionalizzante e lasciando intatti un cospicuo numero di contratti a termine: è un paradosso che i dipendenti dei call center invochino il mantenimento del contratto a progetto per poter conservare il proprio lavoro.

Ci sono dei grandi assenti in questa riforma?
Oltre agli aspetti che ho già descritto – politiche attive, apprendistato – ce ne sono diversi. Io, che pure sono stato molto critico sulle politiche differenziate per il Sud, vista la disparità pazzesca in ambito lavorativo - 600 mila posti di lavoro persi al Mezzogiorno su un milione, circa 37% di disoccupati nelle costruzioni… - avrei sperimentato cose diverse, proponendo per esempio incentivi diversificati per il Mezzogiorno. Poi, poteva essere un’occasione per parificare lavoro privato e pubblico e – cosa importantissima – per aprirsi alla possibilità di estendere i dirititi di una parte dei lavoratori autonomi verso cui regna una totale indifferenza. Penso agli iscritti alla gestione separata Inps, che versano contributi altissimi senza avere nessuna ombra di tutela.